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Il vostro numero è già un crimine (Alcune considerazioni sulle implicazioni etiche e pratiche del vegetarianismo nella società contemporanea)



Circa quattro secoli prima della venuta di Cristo, il filosofo Empedocle scrisse: “è una grande vergogna spargere il sangue e divorare le belle membra di animali ai quali è stata violentemente tolta la vita”.

Qualche secolo dopo Plutarco scrisse in maniera ancora più vivida: “Tu ti chiedi per quale motivo Pitagora si astenesse dal mangiar carne? Io per parte mia mi domando stupito quale evenienza, quale stato d'animo o disposizione mentale abbia spinto il primo uomo a compiere un delitto con la bocca, ad accostare le labbra alla carne di un animale morto e a definire cibo e nutrimento, davanti a tavole imbandite con corpi morti e corrotti, membra che poco prima digrignavano i denti e gridavano, che potevano muoversi e vedere. Come poteva il suo sguardo tollerare l'uccisione delle vittime sgozzate, scuoiate, smembrate, il suo olfatto resistere alle esalazioni, come ha fatto il senso di contaminazione a non dissuadere il palato, a contatto con le piaghe di altri esseri, nel ricevere i succhi e il sangue putrefatto di ferite mortali?”.

Tuttavia, è a partire dall'800 che il problema del vegetarianismo ha assunto un valore sociale. Tolstoj ad esempio, scrisse: “Il cibarsi di carne è un residuo della più grande primitività: il passaggio al vegetarianesimo è la prima conseguenza naturale dell’istruzione”. 

E Thoreau: “Sono fermamente convinto che cessare di nutrirsi di animali rappresenta un momento imprescindibile nella graduale evoluzione della razza umana”. 

In questo breve post, tuttavia, volevo assumere un punto di vista, diverso da quanto lasciato intendere fin ora. Meno romantico, forse, ma non meno etico. 

Quando Emile Zola scrisse: “Il compito più alto di un uomo è di sottrarre gli animali alla crudeltà”.
Ovvero estendere gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità a tutti gli essere viventi, si fece portavoce di un pensiero che, ahimè, le atrocità del novecento hanno reso quasi nullo. Tutto, infatti, lascia presagire che tali ideali sono andati incontro ad una loro limitazione anche tra gli essere umani. Limitazione che continua tuttora. 

Ecco perché, analizzare la questione da un punto di vista non utilitarista risulta molto rischioso. Infatti bisognerebbe aggiornare concetti (cioè astrazioni del pensiero) su cui si è fino ad ora fatto cieco affidamento. Primo fra tutti quello di anima.

Quando la Società per la prevenzione della crudeltà verso gli animali chiese appoggio a Pio IX, questi rifiutò il proprio appoggio e vi si oppose. Gli animali, infatti, non hanno un’anima: questo era il suo pensiero e fino ad ora, nonostante le esternazioni di taluni pontefici che lo hanno succeduto, la tesi ufficiale della dottrina cattolica.

Tuttavia, come scrisse Jeremy Bentham: “Il problema degli animali non è - Possono ragionare?, né – Possono parlare?, ma – Possono soffrire?” 
E la risposta mi pare ovvia, nella sua evidenza biologica.

Sull’anima, poi, dovremmo aprire un così ampio dibattito e forse basta, per farla breve visto il contesto, consigliare la lettura di I Barbari di Alessandro Baricco ed in particolare la contestualizzazione storica della nascita del concetto di anima. La sua invenzione, insomma.

Qui, però, bisogna fare un passo indietro o quantomeno ampliare il panorama ricordando che attualmente nel mondo 805 milioni di persone soffrono la fame. Circa 25 mila persone al giorno muoiono per denutrizione e ovvie conseguenze.

Laddove i dati sulla popolazione mondiale indicano una sua continua crescita non si possono non ricordare le parole di Stefan George che più di un secolo fa ammoniva:
 “Il vostro numero è già un crimine”
Marcuse tempo dopo suggerì che l’aumento della popolazione mondiale fosse, in termini filosofici ed ovvie conseguenze pratiche, un allontanarsi delle possibilità di una più equa e facile esistenza. Per il solo numero degli esseri umani la lotta per l’esistenza si faceva sempre più difficile.

Sempre più difficile, però, non significa impossibile. E rinunciare a proseguire nel cammino per l’evoluzione umana non mi sembra una possibilità che ci viene offerta.

Ogni scelta o soluzione in grado di promuovere una vera evoluzione, però, fortunatamente, porta in se un valore etico carico di conseguenze pratiche.
Ogni anno, ad esempio, Europa e Stati Uniti, spendono, circa 17 miliardi di dollari in foraggio per animali che vengono poi divorati dalla parte di popolazione che abita i paesi sviluppati e che genera un'ulteriore spesa assistenziale a carico del sistema sanitario. Un chilo di carne equivale a 35 metri quadrati di foresta, 15.500 litri d’acqua, 15 chili di cereali e 36 chili di Co2. (Per avere una idea di quanto costa produrre 50 chili di carne possiamo provare a immaginare di convertire l'ettaro di terreno necessario a produrla in terreno agricolo dal quale potremmo ottenere 1.000 kg di ciliegie, 2.000 kg di fagiolini, 4.000 kg di mele, 6.000 kg di carote, 8.000 kg di patate,10.000 kg di pomodori, o 12.000 kg di sedano).

Prima ancora di estendere, come sognava Zola, i principi di libertà, uguaglianza e fraternità agli altri esseri viventi bisognerebbe fare in modo che tutti gli esseri umani godano di questi principi e che, nonostante il numero, si riuscisse a migliorare anziché peggiorare la lotta per l’esistenza.

Straordinariamente, però, le due azioni coincidono. Non c’è un prima gli uomini e poi gli animali, ma un contemporaneamente.

La scelta di una alimentazione vegetariana, dunque, non può essere considerata solo una scelta privata e individuale (laddove nel mondo liquido-globale non esistono scelte veramente individuali) quanto una scelta etica, un dovere morale che abbraccia insieme le responsabilità che abbiamo verso noi stessi, verso gli altri esseri umani e verso tutte le specie animali.

Forse è vero quanto dice Mark Twain, rifacendosi a quella che Darwin aveva individuato come una delle più grandi differenze tra l’uomo e gli altri animali:
L’uomo è l’unico animale che arrossisce ma anche l’unico ad averne bisogno”.

1 commento:

  1. in fondo sempre si tratta della metempsicosi del fine ultimo nevrastenica oscillazione fra poli estremi (ciao S.)

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