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Monologo dell'uomo di dopodomani - Per un'attualizzazione dei versi di Evgenij Evtusenko


Mi è capitato di rileggere alcuni versi di Evtusenko tratti da una raccolta di liriche pubblicate negli anni novanta con il titolo Arrivederci, bandiera rossa. Molte poesie, però, erano state scritte in precedenza, negli anni settanta soprattutto, e non erano mai state pubblicate.
Mi ha molto colpito leggere la prefazione, datata 1995, che Evtusenko fece precedere all'opera:

"Questo libro è sulla fine dell'impero. Questo libro è un -requiem-. In esso c'è la nostalgia, che non è un pianto funebre per la dittatura, la censura, i gulag. E' la nostalgia per il bambino, gettato via insieme con l'acqua, per la nostra speranza, infranta, di un socialismo dal volto umano. E non si conosce ancora se il nostro capitalismo avrà un volto umano"

Queste parole suonano ancora più terribili, ora che sappiamo che il capitalismo non lo ha, un volto umano, e che lo abbiamo imparato a nostre spese. Ma le poesie di Evtusenko non sono solo delle poesie astratte, che si limitano a problemi ideologici generali. "Ho scritto un libro", dice Evtusenko, "sulla politica". Quella russa, certamente, ma, come è facile capire, nei limiti della politica russa si possono individuare i limiti della politica tout court.


"Secondo il mio punto di vista, la crisi inziò con la morte di Sacharov. Il motivo? Perché Sacharov era l'unica persona in tutta la nostra politica, dinnanzi alla quale si provasse vergogna. Con la sua morte, persone simili non ne rimasero. Egli fu lìultimo idealista senza macchia.
[...]
Si, la libertà di parola da noi c'è, forse per la prima volta in tutta la storia della Russia. Ma la politica si è già consegnata l'immunità: la libertà di ignorare la libertà di parola. Chiunque voglia farti vergognare, non ci riesce, e basta.
Problema non inferiore a quello delle riforme economiche è la riforma di coscienza. Sono necessari gli uomini. Uomini di fronte ai quali altri uomini provino vergogna. Di questo parla il mio libro."

Ed ecco due liriche tratte dalla sezione Dei Versi vietati [nella traduzione di Evelina Pascucci]:


Monologo dell'uomo di dopodomani

Non avevano un partito Adamo ed Eva,
l'arca fu ideata dall'apartitico Noè.
Tutti i partiti, con sorrisetto maligno,
l'inventò il demonio - poiché ha cattivo gusto.

E forse nel cuore della mela stessa,
qual verme era rinchiusa - verme e serpente in una -
la politica - professione di origine mefistofelica -
e gli uomini sono inverminiti dopo.

La politica inventò la polizia,
la politica inventò i capi,
contò la persona viva con l'unità
e suddivise gli uomini in partiti.

Dov'è della vedova il partito, del mutilato, del pellegrino,
del bambino e della famiglia, dov'è il partito?
Dov'é il confine tra Magadan e Majdanek,
e tra Oswiecim e Songmi?

Un giorno, un giorno, un giorno,
ai trisnipoti dei odierni tutti i partiti
verranno a mente come una cosa assai remota,
come selvaggia, stragrande Babilonia.

E un mondo ci sarà senza mutilati sul sagrato,
senza storpi morali al potere,
e un unico partito in esso:
il suo semplice nome - uomo.


(scritta nel 1972)

[Come io con fede nello stato mi appagavo]

Come io con fede nello stato mi appagavo,
rispettosamente la testa piegando.
Non fucilavo lo stato, nemmeno lo impiccavo,
ma esso un poco impiccava me.

Dinanzi agli occhi chiari dello stato
parlo, senza aspettarmi giudizio equo:
di simile perfidia indegno
poiché mai io fui perfido altrettanto.

Stato, ho cercato di amarti,
volevo esserti utile sul serio,
ma sentivo che sparivo del tutto se,
come al bastone il cane, t'ubbidivo.

Stato, tu arroganza, tu sempre servile,
regno di piaggeria, di delazione, regno d'ostilità,
del senso della patria e di quello dello stato
nell'uomo non si avrà mai la convivenza.


(scritta nel 1975)

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