«Le
Journal des Dèbats» 20 fevrier 1832 (Jules Janin)
“Lunedì scorso (13 febbraio 1832) il melodramma
(L’Abbaye-aux-Bois) venne rappresentato per la prima volta.
Sapevo da prima che l’opera era di M. Martin, ragazzo di spirito e
di cuore, onorato e amato da tutti, autore di un libro pieno di
talento e di consapevolezza: così mentre vedevo il melodramma
svolgersi davanti i miei occhi, mi sono dispiaciuto sinceramente
dell’avvenire di questo ragazzo. Lo vedevo già precipitato
nell’angoscia incredibile di un teatro di second’ordine; lo
vedevo preda di tutte le gelosie; di tutte le meschinità, di tutta
la falsa gloria, di tutte le tristezze troppo reali di questa
esistenza separata. Questo mi capita ogni volta che vedo entrare un
novizio in quella che possiamo chiamare la vita letteraria.
Rabbrividisco al pensiero di tutte le disgrazie che l’attendono; la
sola idea basta a fargli sbiancare i capelli sempre che gliene siano
restati. La vita letteraria, per dio! Mettete insieme tutte le
antipatie, i dolori, i travagli, le disapprovazioni, le
ingratitudini! E ne avrete una piccola idea. In alto e in basso, la
vita letteraria è la stessa. In alto come in basso, il disincanto è
assicurato; ma quantomeno in altro si ha qualcosa di interessante, un
erto smalto che lusinga l’orgoglio; mentre ai gradini più bassi,
quando l’artista si fa manovrare, quando l’arte diventa un
mestiere, quando il dramma è mezzo di sussistenza, come dice M.
Poirson, quando la critica cade sulle vostre opere da tutta l’altezza
del suo disprezzo, allora veramente la vita letteraria è un inferno
da cui uscire ad ogni prezzo.
Stessa cosa per la vita letteraria di prim’ordine, che di tutte le
esistenze è la più difficile da subire. Per essere un grande
artista o un grande poeta, per essere uno scienziato illustre,
bisogna essere nato eroe; bisogna avere un anima grande e forte, un
corpo robusto, perseverare in ogni situazione; bisogna saper
attendere, saper vegliare, saper cercare, sapere soffrire. Bisogna
essere disposti a studiare notte e giorno, sempre e comunque; bisogna
dedicare la vita intera ad una idea, e bisogna essere uomini onesti
prima di tutto. Tuttavia coloro che sono nati per questa vita, quali
pene hanno dovuto subire; poeti che si sono fermati lungo la strada,
stanchi prima di aver raggiunto l’obiettivo! Ascoltate le lamentele
dei veri artisti! Vedere nelle nostre accademie queste fronti chine
tanto nude e magre! Comprenderete bene che quanta aspirazione e
coraggio, quanta forza morale e fisica, serva per raggiungere la
felicità in sentieri tanto rischiosi!
Tre giorni fa, la notte tra giovedì e venerdì, due ragazzi, autori
di un melodramma, si sono asfissiati nella medesima camera e sono
morti alla stessa ora, lasciando una specie di testamento letterario
in prosa e versi, dentro i quali, versi e prosa, si trova la funesta
abitudine degli spiriti irriflessivi che si abbandonano all’impulso
del momento, senza troppo capire a cosa porterà quest’impulso.
L’indomani di questa brutta vicenda, un giornale mal informato
annunciò la morte degli autori di L’Abbaye-aux-Bois; ed io,
che pensavo a M. Martin, trovai che aveva fatto presto a morire e che
si era suicidato per un motivo futile come quello di un melodramma al
Gaité.
Non era M. Martin che era morto; mi ero sbagliato senza sbagliarmi.
Le due vittime della vita teatrale erano i signori Escousse e Lebras.
Escousse, autore di un dramma in versi, Farruck le Maure, al
teatro di Porte-Saint-Martin, che era stato imprudentemente lodato
quando apparve, messo in scena per tre settimane, scritto in società
con Lebras un melodramma in prosa, intitolato Raymond, al
teatro della Gaité. Quest’ultima opera non ebbe successo.
Si è detto, e io ci credo, che per questo insuccesso, e unicamente
per questo insuccesso, è venuto ai due giovani amici il desiderio di
morire. Avevano preso sul serio la vita letteraria; a loro era
arrivato quello che arriva a molti dei nostri contemporanei: avevano
creduto di ottenere tanto successo e tanta gloria con poco lavoro;
avevano scambiato il primo impeto dello spirito per una genialità
bella e finita; avevano creduto che ci si improvvisa grandi artisti.
Gloria, genio, tutto gli venne a mancare nel medesimo momento; l’arte
stessa, di tanto sdegno si era presa una bella rivincita. Come l’arte
poetica, sotto un certo aspetto, è ancora una regola morale e di
virtù. Tutte le regole devono essere rispettate: l’artista che ha
riflettuto abbastanza sulla propria arte, sa perché ha sbagliato
quanto sbaglia; e dopo, quando l’evento gli è fatale, ritorna alle
regole, ritorna al lavoro, riflette nuovamente, e non rinnega
certamente l’anima nel proprio testamento; soprattutto non si fa
violenza per punirsi di non aver divertito la folla. Asfissiarsi per
aver scontentato il pubblico! Non è proprio il caso!
Per quanto mi riguarda, io più penso a questa storia più la trovo
una protesta. Ne dubito che siano due vittime della retorica così
come ora si solito farla; hanno sostenuto il peso del dramma così
come lo si vede oggi. Retorica perfida che consiste nel camminare con
gli occhi chiusi, nel volere all’improvviso delle ali, per superare
gli studi, la lingua, la scienza, la teoria, la pratica, la
riflessione, insomma tutto quello che fa un poeta! Dramma fatale e
troppo facile da fare sia che si tratti della morale, della storia,
dello stile, dell’interesse, della verosimiglianza, della verità,
insomma di tutto quello che fa un dramma! In un arte così fatta,
cos’altro potevano diventare due ragazzi senza esperienza? Voi
glielo avete detto e voi gli avete dimostrato che gli sarebbe bastato
tendere la mano per ottenere la gloria e il successo; allora hanno
teso la mano e non hanno ottenuto né soldi né successo. Allora li
ha presi la disperazione, poiché erano sinceri; allora la tristezza
ha fatto il nido nel loro cuore, poiché il loro cuore era genuino!
La critica stessa, in questo caso, non ha fatto il proprio dovere; la
platea è entrata in questo deplorabile suicidio. Dopo Farruck le
Maure, la critica applaudiva, senza ricordarsi che la propria
missione è di essere severa; la platea entusiasta ha richiesto il
giovane autore. Quella febbre! Poi l’indomani, dopo questa duplice
ovazione, l’infelice ragazzo, è caduto da tanto in alto nella
realtà, ritrovandosi più solo che mai, così sconosciuto, non
capendo la sua gloria di un giorno né la sua mancanza del presente,
l’infelice si è dato la morte! È colpa vostra, teatri, critici,
pubblico! Non avete saputo essere severi a suo tempo! Siete venuti
meno alla vostra missione di frenare l’imprudente che si perde,
avete fatto, a questo ragazzo appena agli inizi, una crudele menzogna
e delle false promesse. Il grande errore di questo ragazzo è stato
quello di credervi!
Per quel che mi riguarda non è così che io intento il teatro, non è
così che intendo la critica. Il teatro, così come è ai giorni
nostri, è diventato una taverna comparabile alla sala da gioco. Il
teatro così come il gioco è una specie di azzardo, nel quale i
nostri giovani possono ad ogni ora puntare l’avvenire dei loro
spiriti e del loro talento. Mancano gli autori al teatro, e il teatro
attira i poeti, come del resto si attirano i giocatori – Dacci i
tuoi soldi! Giocatore. Dacci il tuo genio, poeta! – ma il miei
soldi non sono miei! – ma il mio genio non è ancora maturo – che
importa? Gioca i tuoi soldi! Gioca il tuo genio! purché il gioco
abbia l’ultimo pezzo del giocatore, purché il teatro prenda il
primo germe del poeta, lo scopo è raggiunto, non c’è altro?
Questo lo scopo delle caverne agli angoli delle strade. Invitano i
passanti ad entrare, attirano i giocatori! Quale è il giovane
spirito così ossessionato che trovando sotto i suoi passi queste
miserabili strutture scappi dalla seduzione del teatro? Quale ragazzo
passa tranquillamente davanti ad una esca di una sala da gioco! E poi
dopo che uno ha giocato tutto il suo spirito, e l’altro perduto
tutta la sua fortuna, ci stupiamo del doppio sparo, e ci domandiamo
perché sono morti?
C’è in effetti che ci sono troppe sale da gioco, che ci sono
troppi teatri, c’è che in effetti in meno di sei mesi mettere in
scena tre drammi del giovane Escousse, uno a Porte-Saint-Martin, uno
al Théatre-Française, uno al Gaité, significa abusare di questo
ragazzo. Dunque vedete come è morto! È morto tutto preso di teatro,
di giornali, di opere da mettere in scena; è morto tutto preso di
letteratura, di gloria; è morto così infelicemente come peggio non
si poteva!
La sua lettera al giovane Lebras, il suo invito funerario, gioca
tutto su una metafora drammatica e che fa male all’anima sapere
usata a quello scopo.
“ti aspetto alle undici e mezzo: il sipario si alza. Vieni, così
che possiamo affrettare il finale!”
Non si parla, in questa lettera, di una opera teatrale da fare, di
una collaborazione ordinaria, d’un finale da risolvere come tutti
gli altri? Quale collaborazione!
Lebras, fedele all’appuntamento, va dal suo amico; Escousse aveva
mantenuto la parola, in effetti, il sipario è già alzato, il
carbone, questo oppio bastardo che sono soliti usare i suicidi del
popolo, è già acceso in tre differenti recipienti, non hanno più
bisogno di affettare il finale.
[…]
L’indomani, quando la porta venne aperta, e non ci fu più speranza
di rianimare i due cadaveri, si trovò sul tavolo una nota scritta da
Escousse. Il disgraziato! Non ci dice che per lui non era altro che
un melodramma ordinario? Composto il suo dramma, aveva avuto
l’orribile interesse di scrivere una circolare per i giornali. Un
autore esperto non avrebbe potuto fare di meglio.
[…]
Insensato! Come ancora si svolga dopo la morte! Come abbia ancora
bisogno di indossare il suo stivaletto! È morto, non perché la
gloria non gli domina abbastanza l’anima! Ahimè! Sono sicuro che
suo padre avrà pensato che la gloria semmai lo dominasse troppo.
Dunque sono morti vittime di esaltazione due giovani ragazzi degni di
pietà e di interesse! Sono morti per aver disprezzato una carriera
volgare tanto favorevole al riposo e alla felicità. Sono morti
soprattutto perché ci sono troppi teatri e troppo pochi critici
severi a Parigi; due grandi cause di sciagura e di rovina per i
giovani di talento…”
Il Dossier Auguste/Lebras nella versione essenziale dei soli documenti da me individuati e tradotti, e corredati solo di una brevissima premessa o, quando necessario, di un'altrettanto breve contestualizzazione, è disponibile in formato pdf nel seguente link ( Dossier Escousse/Lebras pdf ) o nella bacheca I quaderni del letterato Franz Laszlo Melas della home page.
Il Dossier Auguste/Lebras nella versione essenziale dei soli documenti da me individuati e tradotti, e corredati solo di una brevissima premessa o, quando necessario, di un'altrettanto breve contestualizzazione, è disponibile in formato pdf nel seguente link ( Dossier Escousse/Lebras pdf ) o nella bacheca I quaderni del letterato Franz Laszlo Melas della home page.
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