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Mariannina Coffa: Donna, Sicana e Vate! (...per una commemorazione della festa della donna)

"Ma tu venduto alla malia dell'oro,
Ogni alto affetto, ogni alto gaudio infranto,
Non sai che donna può levarsi al canto,
E ornar la fronte per sudato alloro!”


Tommaseo in una lettera inviata insieme al volume di poesie di Mariannina Coffa al direttore del giornale di Genova, “La Donna di Famiglia”, scriveva: “Le mando un libro di donna, da far vergogna ad uomini molti, segnatamente per l'altezza de'sentimenti che annuncia in forma degna”.

Certo Tommaseo, nel parlare di vergogna, alludendo al fatto che questi versi fossero migliori di quelli scritti da tanti poeti maschi introduce già, senza volerlo, una considerazione di merito che se di fatto elogia l'arte poetica della Coffa dall'altro ne evidenzia l'eccezzionalità. Il libro non è soltanto libro, non è libro di versi, bensì “libro di donna”; e la vergogna è di quegli uomini che dovrebbero essere in grado di scrivere libri (di uomini) di per sé migliori di quelle delle donne. Ma sono da perdonare, queste sbavature, vista la prontezza con la quale Tommaseo ed altri intellettuali del nostro ottocento riconobbero in lei l'anima di una poetessa vera. 
La storia di Mariannina Coffa, infatti, è storia di poesia prima di tutto, ma anche testimonianza rara sulla condizione delle donne italiane nell'ottocento. Regine dei salotti (nei casi migliori), ma regine in esilio, limitate in confini strettissimi che, una volta oltrepassati, le esponevano al pubblico dileggio, alla perdita di ogni diritto (se diritto avevano) e persino della dignità o dell'amore dei parenti. Un'epoca in cui scrivere rendeva le donne disoneste (e con lo scrivere il pensare).

La biografia, tanto simile a quella di tante altre donne d'allora e di oggi che subiscono l'indifferente violenza di una società maschilista può essere letta nei link che vi propongo (Biografia Mariannina Coffa 1 - 2 - 3) anzi deve essere letta e conosciuta. Eppure sono convinto che se è bene sapere e conoscere la vita subìta suo malgrado da Mariannina Coffa, il nostro soffermarci sul solo dato biografico sarebbe un perpetuarsi di quella violenza che subì in vita, così come sarebbe sbagliato ricordarla come una donna vittima di violenza quando invece fu Poetessa vera, nell'anima e nella carne. Ed è la sua poesia che voglio ricordare, apprezzare, rendere nota.

Se vi è già capitato di leggere questo blog avrete già capito che, quando posso, preferisco far parlare le fonti, coerentemente a questo mio principio, anziché lodarvi (senza nessuna autorevolezza) l'opera poetica di Mariannina Coffa vi trascrivo l'articolo con cui Carmelo Pardi presentava nella rassegna bibliografica del giornale «La favilla» la sua raccolta di poesie “Nuovi Canti”, opera edita dall'Unione tipografica di Torino nel 1863.



Nuovi Canti di Mariannina Coffa Caruso in Morana da Noto. Torino, Unione Tip. — Editrice, 1863.
Il 16 ottobre del 1856, nel num. 3 di questa nostra Favilla (lª Serie) parlando delle prime poesie di Mariannina Coffa-Caruso, scrivevamo queste parole, che ci è grato qui riportare:
« La Mariannina, nata nell'ottobre del 1841, mostrò fin dai più teneri anni una singolare tendenza per la poesia, e, secondata da genitori affettuosissimi, ha dato prove non dubbie del valore del suo poetico ingegno. Fanciulletta decenne, imparate le nozioni generali della poesia, scriveva un componimento, che intitolava il Calvario, primo tentativo reso di pubblica ragione. Da indi in poi ha fatto tali progressi che si renderebbero incredibili ove non ne facessero testimonianza persone imparziali e degne di fede che le hanno dato vari temi su che la fanciulla ha scritto felicemente con rime obbligate o senza. Il volumetto annunziato contiene varie poesie di diversi metri, che portano la data del giorno e dell'anno in che furono scritte. In queste poesie spira un candore verginale ed una graziosa ingenuità che innamora. Facile, spontaneo, armonico è sempre il verso, e l'armonia, essendo innata in quell'anima eminentemente poetica, ti è indizio di più lieto avvenire. E noi facciamo voti perchè quegli egregi, cui è commessa la cura di quell'ingegno nascente sappiano custodirlo ed educarlo al vero, al buono, al bello, affinché la cara fanciulla cresca onore del bel sesso, e gloria novella della patria nostra. »
Son corsi oggimai sette anni dacché noi dettavamo queste parole, e le nostre previsioni si sono avverate. Son corsi sette anni, e quanto in questo lasso di tempo non abbiam noi visto, e qual fortuna non ci è mai toccata! Abbiamo assistito al più grande miracolo dell'età nostra; un popolo levarsi in armi, rovesciare una secolare tirannide, rivendicarsi in libertà, e la nostra Sicilia, che ai tempi del magnanimo Federico lo Svevo, dava all'Italia la lingua, offrire al più prode e leale dei re la corona di Ruggiero, e stringersi in un patto d' amore all'italiana famiglia.
E la Mariannina, nella meravigliosa epopea che veniva dinnanzi ai suoi occhi esplicandosi, in cui grandeggiava la eroica figura del Garibaldi, idoleggiando gli splendidi fatti dell'italico risorgimento, acceso il cuore di nobile entusiasmo, sentiva ridestarsi l'estro dei carmi, ed esclamava: E son poeta anch'io!
Ed ecco la Notinese giovanetta presentarsi alla nuova Italia, ed offrirle il modesto tributo dei suoi Nuovi Canti, meritamente applauditi dalle anime gentili, e dal Tommaseo, che, al primo apparire del pregevole volumetto, ci scriveva: « Ricevo il libro della Mariannina Coffa-Caruso, dal quale a me pare che venga all'illustre Isola onore grande. E non dubito che del libro con le debite lodi parlerà la Favilla ».
E noi ne parleremo per compiacere al desiderio gentile di quel valentuomo che, lodando la nostra concittadina, ha la Sicilia nostra onorato, e perchè la egregia poetessa si abbia dalla nostra effemeride quella onoranza che le è meritamente dovuta.
Analizzeremo col coltello anatomico le divise membra di questi poetici componimenti, per esaminare se i versi sieno battuti a buona incudine? Inforcheremo gli occhiali d'Aristarco, e colla bilancia dell'orafo peseremo questi versi per vedere se manchino di peso, di qualità e di misura? Vedremo se siano di buona lega, e quali gemme sieno incastonate nell'oro? No, che queste ci parrebbero sofisticherie di stizzosi pedanti. Come i versi della signora Coffa riescano pregevolissimi per altezza di concepimenti, peregrinità d'immagini e leggiadria di forma, altri prima di noi alla gentil poetessa avrà detto, quindi ce ne passeremo. Vedremo invece come ella sia progredita nel giudizio e nel sentimento, nel concetto e nella forma e con quanto successo, ammaestrata dallo studio, dall'esperienza e dall'arte, abbia saputo ritrarre le immagini della fantasia, i pensieri della mente e le passioni del cuore, di quel cuore di donna e di poeta.
Come la Mariannina intenda la missione della poesia sarà agevole vederlo in questi versi:

...., non usa a macular la mente
Dei venduti concetti all'armonìa,
Libera parlo, e scenderà cocente
Nei forti petti la parola mia!
Quando altero è l'ingegno il cor la mente,
E il pensier non muta e non oblia...
Cantiamo! ….A' rai dell'increata luce
Il mortal fra i celesti il canto adduce.
(A S. Luigi)

E in un altro componimento, rivolta al suo buou genio, così ella prega:

Oh ... vieni, Angelo mio, dammi la lira.
Che sento anch'io nell'agitato core
Quella possanza che ogni vate ispira,
La libertà, l'amore!
(Un volo sulle Alpi)

L'amore della famiglia, della religione e della patria ardono nel suo cuore unica fiamma vitale. E la ispirata giovinetta, che, nei ferrei tempi del dispotismo compiangeva la patria, e faceva voti perchè il Cielo le arridesse sorti migliori, adesso che la patria è redenta, scioglie la lieta canzone della libertà, e plaudendo nel fervido inno al valore dei prodi caduti nelle patrie battaglie, invoca la spada del Sabaudo Monarca totale liberazione dell'Italia, ed esclama:

A che tanto sacrificio
Se l'Italia è serva ancora?
Ove s' orge in terra italica
Un sol gemito di oppresso,
Il tuo nome, o Re magnanimo,
Li risuona e geme anch'esso.
Più che re, fratello al debole,
Spiega all'aure il tuo vessillo.
Corri là dov'arde un popolo
D'esser libero qual fu ....
Di Fabrizio e di Camillo
Vivo è il senno e la virtù.
Sin che Roma è stretta a piangere
Non è tuo d'Italia il soglio;
Di te degno, amato Principe,
Ben lo avrai! ma in Campidoglio.
Sprona, o Re, sprona il fulmineo
Tuo destrier su l'ampia via!
Deh ti affretta! In sul Gianicolo
Grida al mondo: Italia or è ....
E una voce il mondo fia:
Viva Italia ed il suo Re!
( A Vittorio Emanuele )

E mentre si duole che il fratello lasci i domestici focolari, e cingendo le armi, corra nei rischi delle battaglie, con virtù di donna antica, il giovane animoso così incoraggia:

Oh quanto gaudio mi verrà nel petto
Se delle glorie tue viver m'è dato,
Se il Cicl t'è duce, e sterminato affetto
Di cittadin t'infiamma e di soldato!
Più delle fronde del modesto alloro
Mi (ìa raro il tuo nome, il tuo decoro!
E il tuo pensier vivrà nei mesti carmi
Come il pensiero di lontano amico:
Io col povero ingegno e tu fra l'armi,
L'Italia invocherem nel seggio antico:
Nel pensier della fe' pronti e sicuri,
Ambo sacri alla patria, ancor che oscuri.
(A mio fratello Giuseppe)

Questa è la vera poesia che potò a buon diritto glorificare il Venosino:
Sic honor et nomen divini valibus
Carminibus venit.
Che se l'uomo dal cuore di gelo sorriderà dubbioso, e non vorrà benedire i prodigi del genio italiano, tanto peggio per lui. Noi non abbiamo a dargli altra risposta se non con quelle parola
con che in un magnifico Sonetto la nostra poetessa rispondeva ad un tale che le negava il vanto del poetico ingegno:

Chi.... chi mi nega il sovrumano incanto
Onde ignota mi struggo e m'innamoro?
È mia quest'arte, e me l'ha data il pianto,
Né può comprarla ogni mondan tesoro.
Ma tu venduto alla malia dell'oro,
Ogni alto affetto, ogni alto gaudio infranto,
Non sai che donna può levarsi al canto,
E ornar la fronte per sudato alloro!
Non sai che amor favella al mio pensiero;
E sì l'alma sublima e si la schiara,
Che i cicli abbraccia e l'universo intero!
Io ti compiango, ti perdono.... e oblio
È misero, non reo, chi non impara
Ch'arte è natura, e che natura è Dio.

Cosi questa esimia donzella, che chiude nel cuore tanto tesoro di affetto, coltivando la divina arte dei versi, congiunta all'onorevole drappello delle nostre valorose Rosina Muzio Salvo, Concettina Ramondetta, Letteria Montoro, ed alle altre donne che a ben far pongon l'ingegno, onora l'Isola nativa, che bene a ragione si allieta de' generosi suoi figli.
1° Ottobre
Carmelo Pardi”

(«La favilla, giornale di scienze, lettere, arti e pedagogia», serie seconda, anno primo, 1863, pp. 560-564.)

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