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Tristan Corbière


Alla fine mi è arrivato, via posta da una libreria di Bologna e incredibilmente avvinto tra una membrana di cartone e una pellicola ermetica di plastica trasparente, come se anzichè tramite posta mi sarebbe dovuto arrivare dopo quindici giorni di navigazione per mare, il Corbière della Guanda. Numero 24 della Piccola Fenice. Edizione ahimè tristemente monca, non per difetto fisico, ma per la troppo limitata scelta dei testi tratti da Gli amori gialli. Del resto, esistono numerose edizioni recenti che, persino economicamente, propongono la sua opera completa. [Del 2004 è l'edizione de Gli amori gialli edita dalla Mondadori nella collana Oscar Classici; del 2008 quella edita da Libri Scheiwiller nella collana Testi e ricerche e quella de Il foglio clandestino, con la traduzione di Luca Salvatore]. Tuttavia io, per capriccio e perchè di tanti altri poeti non esistono altrettante edizioni recenti, coltivo un particolare feticismo per i volumetti della Piccola Fenice e per quelli più consistenti della Fenice "adulta", se così possiamo dire. 
Di Corbière, che di nome faceva Edouard-Joachim anche se poi è passato alla storia con il suo alterego Tristan, non posseggo molto altro nè altro mi è capitato di leggere. Prima di questo volumetto con una assai striminzita scelta antologica del suo Les amoures jaunes avevo letto solamente quel resoconto in fieri recitato da Verlaine nel più che celebre Les poètes maudits; e devo confessare che me ne innamorai, lì sulle prime, ma data la mia proverbiale timidezza non diedi seguito a questo germe di sentimento e lo riposi in un cantuccio nel quale ogni tanto lo lasciavo gemmare per brevi fantasticherie prive di fondamento. 
Di lui diceva Verlaine: "marin ni militaire, ni sourtout marchand, mais amoureux furieux de la mer qu'il ne montait que dans la tempête, excessivement fougueux sur ce plus fougueux de chevaux" ( Marinaio ma non militare e nemmeno mercantile, bensì innamorato alla follia del mare che navigava soltanto in tempesta, eccessivamente impetuoso su quello che è il più impetuoso dei cavalli). Mi bastò questo per innamorarmene; seppure, ad essere sinceri, l'icnografia che lo riguarda che il più delle volte è lui stesso a fomentare, ci tramandi l'immagine di un uomo ahimè poco prestante e, diciamolo pure, alquanto brutto. 

Si è già detto che il nome di Corbière è Edouard-Joachim, mentre più comunemente noi lo conosciamo con il nome di Tristan. Il nome Tristan tuttavia non è un semplice pseudonimo di Edouard-Joachim bensì un suo personaggio, un personaggio che poi, modernamente, ha preso vita e si è ribellato al suo creatore. 
Franco Cavallo nell'Introduzione al volumetto della Guanda descrive minuziosamente la "bizzarra" figura di Corbière: "la vecchia giubba da marinaio, un paio di pantaloni di panno scuro infilati in lunghi stivaloni di cuoio e sul cocuzzolo della testa, una di quelle scazzette che, fino a non molti anni addietro avevano l'abitudine di portare, anche dalle nostre parti, gli uomini di mare. Un vero e proprio marinaio da... opera comica, insomma". 
Edouard-Joachim ha creato, suo malgrado, il personaggio Tristan e il personaggio Tristan ha finito con il rovescire i rapporti di forza tra i due, di modo che Edouard-Joachim è rimasto il nome stamapto sui documenti e Tristan l'anima vera di quel corpo che egli muove come un pupo, come una marionetta. Sempre Cavallo sottolinea nella sua Introduzione come Corbière abbia fatto proprio l'assunto Baudeleriano del "realizzare per se stessi" poi diventato assoluto con Rimbaud. Mi vengono in aiuto, a questo punto, le parole che un'altro piccolo maledetto, Emanuele Carnevali (mi toccherà prima poi parlare anche di lui) scrisse proprio a proposito di Rimbaud, ribadendo un concetto che possiamo applicare al nostro Tristan: "Il conseguimento della poesia è il conseguimento della vita. Conoscere il proprio io e possederlo...". In Corbière avviene, proprio in virtù di questo assunto, una rivolta totale, non contro l'uomo o contro la storia bensì contro la vita stessa. E' emblematico del resto che Gaetan Picon parli di "ventriloquia" riferendosi ai versi di Corbière soprattutto ricordando le continue interruzioni liriche con le quali il poeta introduce sarcasmi e continui sogghigni all'interno della sua opera. Sogghigni che fanno venire in mente l'ultra-intellettuale opera di un altro contemporaneo di Corbière a cui fa riferimento tutto il surrealismo a venire e soprattutto maestro ineguagliabile di quel "sentimento" di rivolta totale che è Lautrèamont. Però, mentre l'autore di Chants de Maldoror sembra spingere all'esterno questo sentimento di rivolta, fino a demolire i procedimenti stessi di scrittura che egli stesso utilizza, in Corbière pare piuttosto che questa "rivolta" sia tutta introversa, non una mera questione privata  tuttavia, ma un ricalcolo del reale secondo altri termini, un superamento del naturalismo che con l'aiuto dei simbolisti lo porta ad un trascendere verso il basso, verso l'interno. Ed è indicativa, dal punto di vista linguistico la sua esuberanza sia lessicale che sintattica come anche, Laforgue glielo rimproverava, il suo verso imperfetto, quasi sempre spezzato, singhiozzato, rotto. Arrivò a dire, Laforgue, che Corbière fosse un poeta senza arte, inconsapevole o poco conscio dei mezzi poetici. Non posso pronunciarmi sulla consapevolezza o meno dei suoi mezzi espressivi ma innegabile è l'efficacia con la quale ragiunge il lettore.
Per quel poco che l'ostile lingua corbièriana abbia permesso di avvicinarmici mi pare di poter dire che là dove il poeta faccia riferimento a tutta la tradizione poetica precedente, là dove insomma subentri una imitatio e una maniera, li probabilmente il poeta manca di quella "perfezione" stilistica che era, anzi era stata, della generazione poetica precedente; al contrario "perfetta" diventa la sua lezione poetica laddove tanto più si stacca dalla tradizione e maggiormente forza i legami della lingua anche se non arriva ad un affrancamento totale delle strutture. Anche graficamente, tuttavia, si avverte una tensione (quella tensione che poi sarà propria della poesia a cavallo tra l'ottocento e il novecento, e dalla quale nasceranno le avanguardie). Ancora una volta si può fare riferimento alla duplice unità della sua persona laddove Edouard-Joachim rappresenta l'ancora della tradizione e Tristan l'impetuoso marinaio che naviga soltanto quando infuria la tempesta: il nuovo, insomma, con tutto il suo carico di incoscienza. Gli amori gialli del resto vennero pubblicati nel 1873 all'interno di un ventennio fondamentale per la letteratura occidentale; quello in cui si abbatte un muro rimasto in piedi per millenni e che avrebbe scatenato una crisi come mai si era vista prima. Il muro è quello che separa il conscio dall'inconscio, quel muro che pure senza mai superarlo era stato già Baudelaire a suggerire profeticamente di superare ("au fond de l'inconnu chercher du nouveau"). Muro scavalcato da Dostoevskij nel 1864 con i suoi Ricordi dal sottosuolo, e abbattuto da Rimbaud che già negli anni settanta dell'ottocento era giunto alla problematica scoperta che "io è un altro" e da li, passando per Une saison en enfer, era giunto a Les illuminations

Tristan Corbière, Gli amori gialli, introduzione e versioni di Franco Cavallo, Parma, Guanda, 1965

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Testo completo della prima edizione di Les amour jaunes (Paris, 1873) in Wikisource
Versione digitale della prima edizione di Les amours jaunes  (Paris, 1873) in Gallica (BNF)
Versione digitale della prima edizione (Paris, 1884) e della seconda edizione (Paris, 1888) di Les poètes maudits in Gallica (BNF)

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