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La versione di Barney di Mordecai Richler e Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini di Kurt Vonnegut


Li ho letti praticamente insieme; causa: una straordinaria concomitanza di eventi. Causa, questa, di quasi la totalità degli eventi della vita. Ma in questo caso la estrema banalità dei motivi unita al loro naturale evolversi senza forzature di volontà o sgambetti del destino ha fatto si che l'evento, di per se banale, diventasse da romanzo. Quasi un mito, per me, che non riesco, nella mia libreria a fissare il dorso scuro dell'uno senza richiamarmi alla mente, e subito individuandolo con la vista, il concavo dorso rosso-sbiadito dell'altro. E naturalmente il contrario. Mi era già capitato, ovviamente, essendo nell'età in cui la vita smette persino in queste piccolezze di stupire, con una biografia di Hemingway scritta dalla Pivano e un album, comprati praticamente insieme, di una famosa finger-band... norvegese, se non sbaglio. 
La versione di Barney di Richler mi capitò in mano per caso, in una delle mie foriere scorrerie in libreria. Il titolo a dire il vero l'avevo conosciuto grazie al nick name di uno sconosciuto su un sito di incontri (Barney Panofsky, 29 anni, 169 cm, 65 kg). La foto no, ma il nome mi aveva intrigato. Da li a scoprire il romanzo di Richler il passo fu ovviamente breve. Certo non mi sarei, solo per questo, convinto ad acquistarlo. Non fosse altro che per la mia proverbiale riluttanza per la narrativa contemporanea. Passò non molto che, quasi senza volerlo, mi trovai ad avere fra le mani il volumotto tutto rosso sanguigno che sembrava appena partorito, bello e com'era ancora avvolto nella sua placenta di plastica trasparente. Edizione Adelphi, sconto del 25%. Allora lo presi.
Non l'avevo ancora concluso, perchè la sua lettura fu relativamente lunga e travagliata, che già non so più per quale motivo mi trovai a richiedere il libro di Vonnegut al commesso della solita libreria (solita perchè ce n'è una sola e nemmeno nel paese dove risiedo ma in uno di quelli accanto e che, conti alla mano, mi costa, tra l'andare e l'immotivato rientrare, quasi 10 euro di benzina). Eccolo, mi disse, indicando sotto di noi la sezione Fantascienza. E chi lo sapeva che esisteva?, mi venne di mormorare, colpito dal suo che sicuramente era uno sguardo da appassionato. Andai a pagare un po' con l'aria di avere la coda tra le gambe e un po' consapevole che tutti nasciamo con una buona dose di pregiudizi.
Se tra i due libri ne dovessi sceglierne uno, sceglierei sicuramente quello di Vonnegut, anche se quello di Richler possiede tutti gli elementi per farsi preferire, almeno da me. E poi il finale; lo confesso, probabilmente senza leggere il finale avrei scritto qualcosa di diverso. Perche il romanzo è davvero esilarante. Un continuo saliscendi da otto volante, uno scoppiettare continuo di fuochi d'artifico. E non è vero, nemmeno, che ci si stanchi, né che il gioco del saliscendi sappia di artificioso. Fila liscio, tutto, fino alla fine... Ci ho messo un poco a carburare, a dire il vero; il primo capitolo l'ho letto a singhiozzo e solo dalla seconda parte (La seconda signora Panofsky) è iniziato, per me almeno, il vero spasso. Non c'è niente da capire: questa è una parte sostanziale dello spasso. Nessuna filosofia, nessuna morale soprattutto. E niente è peggiore di una sbronza di scorrettezze montate a tavolino per un popolo abituato al perbenismo, mi viene da pensare, un po' antropologicamente, per giustificare il grande successo del romanzo in Italia. Era 1997.
Senza il finale, dicevo, si sarebbero potute ignorare le motivazioni... poco letterarie del romanzo. Ma il finale svela il trucco. Insinua il dubbio circa il suo vero valore. Che bisogno c'è di spiattellarci la verità quando tutto il romanzo, tutta la vita, si svolge in sua assenza?
Ci sono libri, del resto, il cui unico scopo è raccontare una storia, una vicenda; altri in cui raccontare una storia, la vicenda, è solo un pretesto.
Richler, ad esempio, racconta una storia e lo fa in maniera impeccabile; ma solo questo. Il romanzo ad ogni modo rimante tra le cose migliori degli ultimi decenni scritte al solo scopo di svagare.
Mattatoio n. 5, invece, al quale mi ero avvicinato con molti pregiudizi è riuscito nell'impresa titanica di smuovere la mia coscienza mutandone il giudizio. Un libro che, è evidente, appartiene ad un genere ben preciso, la Fantascienza, eppure lo travalica. Racconta una storia ma il suo vero scopo non è quello, o almeno non solo.
Mattatoio n. 5 mi piace proprio perchè riesce a portare alla luce verità poco pubblicizzate. Già dal titolo: Mattatoio n. 5, o La crociata dei bambini. Non si dimentichi la straordinaria testimonianza storica di Vonnegut sul bombardamento di Dresda e il suo profuso antimilitarismo. Stupefacenti poi certe sintesi. Come il giudizio sulla società americana fondata sull'unico capitalistico valore della ricchezza materiale; una società dove, contrariamente a quelle europee, non esiste una tradizione di saggezza popolare. Quindi, conseguenza logica, Vonnegut immagina un emblematico cartello con la scritta: “Se sei tanto intelligente, perchè non sei ricco?”.
In entrambi i romanzi domina l'idea del tempo. Quel tempo da cui riemergono (falsati?) i ricordi di Barney Panofsky prima di cancellarsi dalla sua memoria di malato; e quello destinato a perpetuarsi nella memoria altrettanto malata di Billy Pilgrim. In entrambi i romanzi inoltre la verità è uno spettro che più che apparire si manifesta insinuando la sua presenza a degli spettatori che stentano a crederla reale. Mentre il lettore, per simpatia, gli crede preventivamente. Ed è forse questo che mi ha fatto preferire Mattatoio n. 5  e che mi ha irritato di La versione di Barney: il fatto cioè di avere la conferma, alla fine, di una verità a cui già credevo e che mi avvicinava al protagonista, anzi di lui mi faceva complice ed amico; depositario di un testamento che solo a me era dato di conoscere. Richler invece la ribadisce, la rende nota, un poco venendo meno al tacito accordo che aveva realizzato con il suo lettore.

Appendice

Da Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini

“Gli aerei americani, pieni di fori e di feriti e di cadaveri decollavano all'indietro da un campo di aviazione in Inghilterra. Quando furono sopra la Francia, alcuni caccia tedeschi li raggiunsero, sempre volando all'indietro, e succhiarono proiettili e schegge da alcuni degli aerei e degli aviatori. Fecero lo stesso con alcuni bombardieri americani distrutti, che erano a terra e poi decollarono all'indietro, per unirsi alla formazione. Lo stormo, volando all'indietro, sorvolò una città tedesca in fiamme. I bombardieri aprirono i portelli del vano bombe, esercitarono un miracoloso magnetismo che ridusse gli incendi e li raccolse in recipienti cilindrici di acciaio, e sollevarono questi recipienti fino a farli sparire nel ventre degli aerei. I contenitori furono sistemati ordinatamente su alcune rastrelliere. Anche i tedeschi, là sotto, avevano degli strumenti portentosi, costituiti da lunghi tubi di acciaio. Li usavano per succhiare altri frammenti dagli aviatori e dagli aerei. Ma c'erano ancora degli americani feriti, e qualche bombardiere era gravemente danneggiato. Sopra la Francia, però, i caccia tedeschi tornarono ad alzarsi e rimisero tutti e tutto a nuovo. Quando i bombardieri tornarono alla base, i cilindri di acciaio furono tolti dalle rastrelliere e rimandati negli Stati Uniti, dove c'erano degli stabilimenti impegnati giorno e notte a smantellarli, e separarne il pericoloso contenuto e a riportarlo allo stato di minerale. Cosa commovente, erano soprattutto le donne a fare questo lavoro. I minerali venivano poi spediti a specialisti in zone remote. Là dovevano rimetterli nel terreno e nasconderli per bene in modo che non potessero più fare male a nessuno.”

Brano tratto da: Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5  o La crociata dei bambini, Milano, Feltrinelli, 2010

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