Dell’estate del 2016 ci ricorderemo poche cose, perché sono
sempre meno le cose veramente rilevanti che diventano notizia e sempre più,
invece, le cose insignificanti che diventano argomento di discussione, che animano
i dibattiti, o riempiono le pagine dei giornali.
Capita però, come sempre è capitato, che anche le
insignificanze possano raccontare storie importanti, capovolgere, se guardate
da punti di vista differenti, il significato banale di cui si fanno portavoce
e, invece di distrarci, intrattenerci, farci percepire in un barlume di
lucidità come appare veramente il mondo.
Va di moda, in questi giorni che coincidono con l’apertura
dei Giochi olimpici organizzati a Rio de Janeiro, una fotografia scattata dalle
favelas in cui si vede un terrazzo in degrado con una famiglia di straccioni
che ammira in lontananza gli splendori dei fuochi dello Stadio Maracanà.
Retorica. Manco a dirlo. Eppure l’insistenza con cui quei
pochi giornalisti non allineati al pensiero unico liberalista o anche i
semplici utenti del web propongono quell’immagine non può non lasciare
indifferenti e, mi si permetta, un poco perplessi.
Immagini del genere, diciamolo subito, potrebbero essere
scattate facilmente a Roma, Milano, Parigi, persino a Londra o a Berlino.
Insomma anche in occidente. Forse, si, la nostra è una povertà meno apparente
ma di uguale misura è il divario economico tra la stragrande maggioranza delle
persone che guarda il Maracanà dal terrazzino e quelli che hanno realizzato e
si sono autoinvitati alla festa.
Allora perché i giornalisti (e lasciamo stare i singoli utenti)
pubblicano la foto degli straccioni delle favelas e non quelle dei morti di
fame che abitano a Roma, a Parigi, a Berlino.
Bauman le chiama “Vite di scarto” e riesce a rendere bene
l’idea di come il concetto di rifiuto si sia esteso dagli oggetti agli esseri
umani. La discarica non raccoglie più solo rifiuti materiali ma anche uomini e
donne. “Chi non si adatta o non si può adattare va scomunicato ed espulso con
la forza”. Così come per gli oggetti siamo passati dalla volontà di riciclare i
rifiuti a quella di smaltirli. L’imperativo è non vederli, metterli lontano
dalla nostra vista. Il che ovviamente non vuol dire che non esistano.
La colpa del Brasile, al contrario di tanti altri Stati
con altrettanta disparità economica e sociale, ma basterebbe dire
liberal-capitalisti, è quella di non essere ancora riuscita a rendere
invisibile i suoi rifiuti umani. E’ questo che gli rimprovera l’occidente.
Anche qui ci sono migliaia di rifiuti umani, ma non si
vedono. Si può, dunque, fare tranquillamente finta che non esistano. Le vostre
favelas, invece, come sono appariscenti! Eccola, la vostra colpa. La vostra
indecenza di Stato che nonostante la crescita economica non si è ancora evoluto
del tutto.
Rendete invisibili i vostri morti di fame e allora sarete
uno dei nostri!
I media ufficiali, ovviamente, allineati al pensiero
dominante hanno già cancellato ogni traccia di questi rifiuti umani, o semmai l’hanno
inglobata nella loro narrazione esaltandone il lato pittoresco e avventuroso.
Gli altri, inconsapevoli, continuano a fare retorica. A pubblicare foto delle
favelas che guardano da lontano i fasti dei Giochi olimpici non sapendo o
facendo finta di non capire che è proprio quello il passaporto del Brasile
grazie al quale entrare a pieno titolo tra i grandi del capitalismo mondiale.
Certo le favelas sono ancora un poco troppo appariscenti
rispetto alle corrispettive sacche di povertà dell’occidente. Ma stanno
provvedendo anche a questo!
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