Pagine

Morte non umiliazione: il cuore ferito dei poeti siriani Najat Abdul Samad e Youssef Abu Yihea

Due poesie che ci portano direttamente in Siria. La Siria con il cuore fasciato, umiliata, violentata ma piena di speranza di Najat Abdul Samad e quella identitaria di Youssef Abu Yihea. Due voci che ci sono giunte grazie alle traduzioni inglesi di Ghada Alatrash. Due voci che le nostre orecchie di occidentali, di europei, fingono troppo spesso di non sentire quando sembra invece che una speranza, una speranza per questo occidente disumanizzato venga proprio da chi, disumanizzato, ci mostra il vero volto umano.






Quando io sona sopraffatta dalla debolezza
di Najat Abdul Samad

Quando io sona sopraffatta dalla debolezza, allora mi fascio il cuore con la pazienza che sole hanno le donne durante le avversità. Lo fascio col portamento che ha la donna siriana che non si piega alle privazioni, alla miseria o allo sconforto di quando s’alza dai banchetti della morte e porta avanti pascolando i suoi rituali di vita. Lei si prepara a spaventosi, ferocissimi inverni e accumulando pesanti legni da ardere, ramo su ramo strappati da gelide selve. Non taglia l’albero intero, non ruba, non consegna l’anima alla debolezza, non chiede carità a nessuno, non si piega alla gravità, non si da per vinta in mezzo alla strada.

Mi fascio il cuore con la determinazione del ragazzo colpito dai loro manganelli elettrici sull’unico rene che gli rimane fino a fargli  pisciare sangue. E già ritornato a marciare nella manifestazione successiva.

Mi fascio il cuore con la fermezza  del bambino che muove i suoi passi sulla neve di un campo profughi, e indossa una piccola scarpa nera in un piede e un sandalo blu nell’altro, inseguendo e cantando alle farfalle che volano nel suo cielo assolato, poiché farfalle e cielo sono solo per i suoi occhi e non davvero.

Mi fascio il cuore con le radici gelate degli alberi a dicembre, sapendo che hanno giurato rifioriranno a marzo.

Mi fascio il cuore con la voce della ragione quando non era ancora ammalata da desolazione immediata.

Mi fascio il cuore con le vene il cui tiepido sangue non è ancora stato sparso sulla superficie della nostra terra santa.

Mi fascio il cuore con quanto venne raccomandato ai nostri martiri, con la coscienza della vita e con l’immagine di una magnifica terra promessa continuamente immagina dagli occhi dei pezzenti.

Mi fascio il cuore col grido: “morte non umiliazione”.


Sono siriano
di Youssef Abu Yihea

Sono siriano
Esiliato, dentro e fuori  patria,
Su lame di coltello ho camminato con i piedi gonfi
Sono siriano: sciita, druze, curdo,
cristiano,
e sono alawita, sunnita, circassiano
Siria è la mia terra.
Siria la mia identità.
La mia setta è il profumo della mia patria
Della terra dopo che è piovuto
La mia Siria, l’unica religione a cui credo.
Sono figlio di questa terra, come le olive
I melograni, la cicoria, la menta, l’uva, i fichi
Dunque a cosa servono i tuoi troni
Il tuo arabismo,
le tue poesie
le tue elegie?
Mi porteranno forse a casa le tue parole
E quelli che furono uccisi
Per errore?
Cancelleranno forse le lacrime versate su questa terra?
Sono un figlio di quel verde paradiso
che era il mio paese,
ma oggi sto morendo di fame e di sete.
Accampamenti sterili in Libano o ad Amman sono il mio rifugio
Ma nessuna terra tranne la mia
Mi nutrirà con i suoi raccolti
Né le nuvole
In questo universo
Spegneranno la mia sete.

Tradotte in italiano dalle versioni inglesi di Ghada Alatrash

Nessun commento:

Posta un commento