Quando io sona
sopraffatta dalla debolezza
di Najat Abdul Samad
di Najat Abdul Samad
Quando
io sona sopraffatta dalla debolezza, allora mi fascio il cuore con la pazienza
che sole hanno le donne durante le avversità. Lo fascio col portamento che ha
la donna siriana che non si piega alle privazioni, alla miseria o allo
sconforto di quando s’alza dai banchetti della morte e porta avanti pascolando
i suoi rituali di vita. Lei si prepara a spaventosi, ferocissimi inverni e
accumulando pesanti legni da ardere, ramo su ramo strappati da gelide selve.
Non taglia l’albero intero, non ruba, non consegna l’anima alla debolezza, non
chiede carità a nessuno, non si piega alla gravità, non si da per vinta in
mezzo alla strada.
Mi
fascio il cuore con la determinazione del ragazzo colpito dai loro manganelli
elettrici sull’unico rene che gli rimane fino a fargli pisciare sangue. E
già ritornato a marciare nella manifestazione successiva.
Mi
fascio il cuore con la fermezza del bambino che muove i suoi passi sulla
neve di un campo profughi, e indossa una piccola scarpa nera in un piede e un
sandalo blu nell’altro, inseguendo e cantando alle farfalle che volano nel suo
cielo assolato, poiché farfalle e cielo sono solo per i suoi occhi e non davvero.
Mi
fascio il cuore con le radici gelate degli alberi a dicembre, sapendo che hanno
giurato rifioriranno a marzo.
Mi
fascio il cuore con la voce della ragione quando non era ancora ammalata da
desolazione immediata.
Mi
fascio il cuore con le vene il cui tiepido sangue non è ancora stato sparso
sulla superficie della nostra terra santa.
Mi
fascio il cuore con quanto venne raccomandato ai nostri martiri, con la
coscienza della vita e con l’immagine di una magnifica terra promessa
continuamente immagina dagli occhi dei pezzenti.
Mi
fascio il cuore col grido: “morte non umiliazione”.
Sono siriano
di Youssef Abu Yihea
di Youssef Abu Yihea
Sono
siriano
Esiliato,
dentro e fuori patria,
Su
lame di coltello ho camminato con i piedi gonfi
Sono
siriano: sciita, druze, curdo,
cristiano,
e
sono alawita, sunnita, circassiano
Siria
è la mia terra.
Siria
la mia identità.
La
mia setta è il profumo della mia patria
Della
terra dopo che è piovuto
La
mia Siria, l’unica religione a cui credo.
Sono
figlio di questa terra, come le olive
I
melograni, la cicoria, la menta, l’uva, i fichi
Dunque
a cosa servono i tuoi troni
Il
tuo arabismo,
le
tue poesie
le
tue elegie?
Mi
porteranno forse a casa le tue parole
E
quelli che furono uccisi
Per
errore?
Cancelleranno
forse le lacrime versate su questa terra?
Sono
un figlio di quel verde paradiso
che
era il mio paese,
ma
oggi sto morendo di fame e di sete.
Accampamenti
sterili in Libano o ad Amman sono il mio rifugio
Ma
nessuna terra tranne la mia
Mi
nutrirà con i suoi raccolti
Né
le nuvole
In
questo universo
Spegneranno
la mia sete.
Tradotte
in italiano dalle versioni inglesi di Ghada Alatrash
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