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Maramao, perché sei morto? (Progresso storico e canzonette...)




Antonio Gramsci nei suoi quaderni annotò:

L’assedio di Firenze del 1529-30 rappresenta la conclusione della lotta tra fase corporativa-economica della storia di Firenze e Stato moderno (relativamente). Le polemiche tra gli storici a proposito del significato dell’assedio […] dipendono dal non saper apprezzare queste due fasi e ciò per la retorica sul comune medievale: che Maramaldo possa essere stato rappresentante del progresso storico e Ferrucci storicamente un retrivo, può spiacere moralmente, ma storicamente può e deve essere sostenuto”.

L’assedio di Firenze del 1529-30 è uno di quegli episodi storici che dopo essere stato lungamente dibattuto è caduto nel dimenticatoio, così come i nomi di alcuni dei suoi protagonisti: Fabrizio Maramaldo e Francesco Ferrucci. Eppure tracce di questo episodio storico rimangono non solo nei Quaderni di Gramsci ma anche in molte testimonianze della cultura popolare.
I nomi di Ferrucci e Maramaldo, infatti, sono entrati nel linguaggio popolare. Nell’ottocento, in particolare negli ambienti risorgimentali, i due nomi diventarono simbolo delle opposte qualità di valore e viltà. Ma è questa retorica (Ferrucci=valore, Maramaldo=viltà) che si sforza di rovesciare Gramsci.
Nella quarta strofa dell’Inno di Mameli si legge:

Dall’Alpi a Sicilia
dovunque è Legnano,
ogn’uom di Ferruccio
ha il core, ha la mano…

Dunque la nomea di Ferrucci rimase fin nell’ottocento e fu in grado di ispirare anche gli ideali risorgimentali. Il nome di Maramaldo invece ebbe una sorte diversa. In vita, infatti, egli fu uno degli uomini più ammirati del suo tempo e tra i soldati che raggiunsero i più alti gradi della carriera militare nel Regno di Napoli… nonostante ciò il suo nome divenne sinonimo di viltà e di spregevolezza.

Giunti a questo punto la nostra piccola ricerca può proseguire verso due direzioni opposte ma complementari. Da un lato sarà, infatti, utile, indagare le origini di questa leggenda che vuole Ferrucci e Maramaldo in opposizione e dall’altro sarà altrettanto utile vedere in che maniera i loro nomi sono giunti fino a Gramsci e dunque fino ai giorni nostri.

Tutto nasce, come in parte si è intuito, durante l’Assedio di Firenze del 1529-30. A guidare le truppe degli assalitori c’è Fabrizio Maramaldo, a difendere Firenze c’è Francesco Ferrucci. Tra i due non corre buon sangue, non solo per ovvi motivi militari ma anche per motivi personali. Durante l’Assedio di Volterra, avvenuto poco tempo prima, pare che Ferrucci avesse ucciso un araldo inviato da Maramaldo e che poi, secondo una crudele usanza bellica del tempo, avesse fatto infilzare sulle picche i gatti della città, in modo che miagolassero per il dolore. I gatti, infilzati, vennero esposti lungo i bastioni delle mura della città come anticipazione “sonora” dei tormenti che sarebbero stati inflitti agli avversari.
Maramaldo, che non conosceva questa usanza, pare che fraintese le intenzioni di Ferrucci e che percepì il gesto come un affronto personale, dovuta al suo nome.

Quando, infine, si trovarono l’uno di fronte all’altro, nell’agosto del 1530, dopo la Battaglia di Gavinana, Maramaldo ebbe l’occasione di vendicarsi. Ferrucci, disarmato, gli fu condotto innanzi e pare che Maramaldo lo uccise a sangue freddo.

Gli interrogativi e i dubbi rimangono; se certa è la vittoria delle truppe di Maramaldo e la morte del Ferrucci meno certa è la modalità della sua uccisione.
Un recente articolo sulla Battaglia di Gavinana, pubblicato sul «Bullettino Storico Pistoiese» [La rotta del Ferrucci. Nuove evidenze sulla Battaglia di Gavinana di Alessandro Monti] ci suggerisce alcuni dettagli sulle origini di questa leggenda e lo fa distinguendo chiaramente tra fonti storiche e fonti letterarie, laddove è possibile, ovviamente.

La prima attribuzione della morte del Ferrucci per mano di Maramaldo, vi si legge, è contenuta in un’informativa inviata nella notte tra il 4 e il 5 agosto 1530 da Sarzana a Genova.
Sin dalle prime comunicazioni emerge che la morte di Ferrucci fosse avvenuta per mano di Maramaldo anche se altrove si dice che avesse inferto solo il primo colpo o addirittura il solo ordine.
In tutte le fonti, però, si è certi nel dire che l’uccisione di Ferrucci fosse la vendetta di Maramaldo per l’uccisione del già citato araldo inviato a Volterra e fatto uccidere da Ferrucci.

L’articolo passa poi ad analizzare le fonti letterarie. L’episodio, infatti, diventò di dominio pubblico grazie a due poemetti che vennero pubblicati qualche mese dopo l’accaduto.
La prima narrazione della battaglia ad essere pubblicata per le stampe fu quella di Mambrino Roseo da Fabriano, soldato e letterato delle truppe perugine, che compose un poema intitolato Lo assedio et impresa de Firenze, pubblicato nel dicembre 1530. In questa opera appare per la prima volta il dettaglio dell’arresto di Ferrucci in un casolare fuori Gavinana. Mambrino non parla di vendetta ma anche lui dà per certa l’uccisione di Ferrucci per mano di Maramaldo.
Nel 1531 venne pubblicato il poemetto La rotta di Ferruccio ad opera di Donato Ori detto “il Callofilo da Lucca”. Nell’opera il Ferrucci viene dipinto in maniera meno eroica, viene fatto noto che, avendo paura di morire, avesse offerto una consistente somma di denaro per aver salva la vita. Anche Donato Ori conferma la avvenuta uccisione per mano di Maramaldo come vendetta per l’araldo di Volterra.
Tuttavia la narrazione che più di altre contribuì alla creazione della leggenda ferruciana fu quella di monsignor Giovio contenuta nella sua opera storiografica Historia sui temporis (il cui primo tomo venne dato alle stampe nel 1550).
Esistono diverse altre versioni di questo episodio, nessuna delle quali verificabile che invece attribuiscono la morte di Ferrucci a non precisati “uomini del principe” (così si legge nei Commentari de’ fatti civili di Filippo de’ Neri, scritti tra il 1534 e 1552) o al “gentil huomo spagnolo detto Garaus, contiguo del principe” (come si legge nella relazione di guerra redatta da Angelo Sperino, che fu maestro di campo dell’esercito imperiale).

La leggenda ferruciana venne infine ripresa dall’epica risorgimentale e vuole che il Ferrucci, agonizzante sulla piazza del paese, venisse finito a colpi di pugnale dallo stesso Maramaldo, e che avesse pronunciato le famose parole: “Vile, tu dai a un morto”; poi trasformato in “Vile, tu uccidi un uomo morto”. Tuttavia non vi è notizia di questo episodio se non nella Storia fiorentina di Benedetto Varchi, il primo ed unico tra gli storici coevi ad attribuire questa frase a Ferrucci.

Queste le origini della leggenda e i mille interrogativi sull’episodio storico. Ciò che è certo è che la figura di Maramaldo rimase nei secoli successivi come simbolo di viltà e di mancanza di onore, in un tempo in cui, va precisato, l’onore era quello delle armi.

Tracce di questa leggenda si trovano non solo nella Commedia dell’Arte ma anche in altre manifestazioni della cultura popolare.
Eccone alcune.

L’11 febbraio del 1833 Gioacchino Belli compose il sonetto Er canto proibito:

"ER CANTO PROVÌBBITO

Sta in priggione, ggnorzí, ppovero storto!
Io da l’abbíle sce faría la bbava.
Sta in priggione: e pperché? pperché ccantava
jer notte: Maramào, perché ssei morto.
Ebbè? ssi è mmorto er Papa? e cche cc’entrava
de dì cche ccojjonassi er zu’ straporto?
E cché! ttieneva l’inzalata all’orto
er Zanto-Padre? e cché! fforze maggnava?
Teste senza merollo: idee brislacche.
Duncue puro a ccantà cce vò er conzenzo
de sti ssciabbolonacci a ttricchettracche!
Io me sce sento crèpa da la rabbia.
«Ma», ddisce, «è bben trattato»: eh, bber compenzo
d’avé la canipuccia e dde stà in gabbia.

Roma, 11 febbraio 1833"

Il Belli riporta in modo sbrigativo la filastrocca, lasciandoci supporre che, ai tempi, fosse molto nota.  Giorgio Vigolo, che curò l’edizione delle opere del Belli del 1952, scrive in nota che “La voce maramao accompagnata col gesto delle cinque dita sgranate a ventaglio vuol dire anche rubare e forse deriva da un’onomatopea del miagolio de’ gatti”. Però aggiunge anche che “non è nemmeno da escludere qualche possibile attinenza col nome di Fabrizio Maramaldo…

Del resto l’episodio raccontato nel sonetto era stato ripreso da Vitaliano Brancati nel suo phaplet Ritorno alla censura, che gli attribuì una datazione errata, ovvero il 1831.
Vi si legge:

La notte del 10 febbraio 1831 un povero storpio arrancava per le vie di Roma cantando: Maramao, perché sei morto? / Pane e vin non ti mancava; / L’insalata avevi all’orto; / Maramao, perché sei morto?
Subito venne arrestato, sotto l’imputazione di alludere al recente funerale del papa. Ma perché doveva alludere al papa? Quale riferimento poteva esserci fra l’insalata all’orto e i giardini vaticani?

Una risposta ci viene suggerita dall’interessante Maramao, perché sei morto? Il gatto anti-papa (e anti-duce) [link]. Qui si sottolinea come l’immagine stessa del gatto sia una immagine tipica di Belli e comunque di uso comune, ai tempi, più volte usata nella satira politica e anti-papalina.

Tuttavia l’eco di questa filastrocca e dunque dell’associazione Maramao-Maramaldo, venne ripresa da Pietro Panzeri che nel 1939 scrisse il testo, ispirato proprio alla filastrocca popolare già citata dal Belli, Maramao, perché sei morto?  Brano che fu poi portato al successo dal Trio Lescano.
Anche in questo caso la riproposizione di quell’associazione Maramao-Maramaldo ispira un caso di censura. Vi cito direttamente l’articolo Maramao, perché sei morto? Il gatto anti-papa (e anti-duce):

Dunque, siamo a Livorno nel 1939, imperante il Duce del Fascismo. E’ morto il gerarca livornese Costanzo Ciano, consuocero di Mussolini, presidente di quella parodia di Parlamento che è la Camera dei Fasci e delle Corporazioni. E il Regime gli sta erigendo un monumento. Ma nella notte studenti burloni vi affiggono un foglio con questi versi: Maramao perché sei morto? /Pan e vin non ti mancava, / l’insalata era nell’orto, / Maramao, perché sei morto?”
Per gli inquirenti si tratta dei versi d’una canzone uscita proprio in quell’anno, Maramao, perché sei morto?, di tale Panzeri, sospetta di alludere alla morte di Ciano, implicato in scandali e arricchimenti illeciti (“pan e vin non ti mancava…”). Apriti cielo! Le dittature, si sa, non brillano per senso dell’humour, e vigili urbani, poliziotti, carabinieri, questore, prefetto ecc., prendono tutto drammaticamente sul serio, subodorando chissà quale complotto, congiura, cospirazione (termini usati abitualmente in questi casi). […]
Il capo della censura, Criscuolo, convoca immediatamente il Panzeri. “Ancora voi!”. Il paroliere è già nella lista nera come autore di Crapa pelada (1936), tradizionale filastrocca infantile milanese ora musicata dal jazzista Gorni Kramer, altamente sospetta perché si adatta a meraviglia al più noto dei calvi, il Duce. E così l’hanno capita gli Italiani.
Il paroliere, però riesce a dimostrare che Maramao è stata scritta prima della morte di Ciano…

In conclusione potremmo dire che questo è un esempio di come un evento storico si sia tramandato nella cultura nazionale popolare e abbia mantenuto la sua implicita forza innovatrice… ovvero quel rovesciamento di retorica di cui parlava Gramsci.

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