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Violenza contro la donna: il male alla radice



“… nessuno può lodare un balsamo
che sana la ferita e non guarisce il male

Uso questo verso di Shakespeare come pretesto per parlare delle tante iniziative che in tutta l’Italia, giustamente, celebrano la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.
Trovo consono, ovviamente, occuparsi delle vittime di tale violenza e necessario attivare quei servizi che possono servire da sostegno, tuttavia mi chiedo se non sia altresì necessaria una riflessione più ampia allo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’innescarsi di tale violenza, o quantomeno di eliminare il movente di genere, come anche di comprendere i motivi di tale innesco.

La società in cui viviamo, in Italia (ma comunque in Europa ed in genere nel mondo occidentale) ha radici cristiane. Dando per scontato che le istituzioni dovrebbero avere un carattere laico (verità teorica e non pratica) rimarrebbe pur sempre la “forza” di una tradizione millenaria che ha condizionato e condiziona non solo i comportamenti sociali ma finanche i meccanismi intimi che promuovono il formarsi delle consuetudini private.
Se la nostra tradizione è cristiana, ciò non ci assolve, dinnanzi alle deformità sociali che tale tradizione ha prodotto, dal dovere di modificarle (laddove, e questo non dovrebbe essere ovvio, si è pronti ad accettare una società fondata su principi religiosi).
La violenza contro la donna è storia millenaria e molto più complessa e “raffinata”, nelle forme, di quanto non lasci presagire il gesto plastico dell’uccisione. Il “banalissimo” movente di tale violenza millenaria è legato all’idea di “possesso”; al concetto cioè che la donna sia subordinata all’uomo e che possa in qualche modo appartenergli.
Provando ad analizzare il testo su cui, volenti o nolenti, si è basato lo sviluppo della cultura occidentale, la Bibbia, non è difficile individuare quei passi, anche fondamentali, in grado di giustificare tale, chiamiamolo così, malinteso storico: cioè che la donna sia subordinata all’uomo.
Nel libro della Genesi, la favola mitica della creazione del genere umano ha inizio con la creazione del “maschio” e solo in un secondo momento, ed in funzione del maschio “che non trovava un aiuto che gli fosse simile”, viene creata la donna.
Poco più avanti, per coloro che avessero potuto pensare ad un malinteso, tale subordinazione viene ribadita in termini ancora più evidenti.
Nell’episodio, fondamentale per la dottrina cattolica, del cosiddetto “peccato originale” è la donna che “innesca” il peccato cosicché Dio stesso pronuncia queste parole: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà”. Poi ovviamente vi è la condanna dell’uomo, ma mentre è la donna la vera artefice del “peccato originale” l’uomo viene condannato per essersi lasciato coinvolgere nel peccato dalla donna (“Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dall’albero…”).
In pochi passi si ribadisce che la donna, per volontà divina, sarà dominata (ecco il suo destino) dall’uomo e si lascia intendere che per l’uomo persino ascoltarne i consigli può esserne fatale.
Della Bibbia cito solo pochi passi, quelli che del resto hanno una funzione dottrinale, e tralascio il profluvio di trivialità presenti nell’Antico Testamento in quanto, è evidente, sono i precetti di popoli semi-civili vissuti millenni addietro.
Eppure alcuni passaggi sono piuttosto interessanti, come quelli del Levitico in cui si legge: 
Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera”. (Levitico 15,19)
Nonostante l’evidente barbarie di questa affermazione anche a me è capitato, nonostante la giovane età, di sentire donne che durante il periodo mestruale avevano timore a fare semplici gesti quotidiani, come aprire un barattolo di passata di pomodoro per cucinarla, poiché toccandolo potevano guastarlo. Ed è questo un esempio banale di come la tradizione cristiana si depositi in gesti e pensieri che pure a distanza si secoli hanno obliato la loro origine.
L’Antico Testamento ad ogni modo è un ricettario di atrocità barbare che del resto sono ravvisabili in qualsiasi codice suo contemporaneo. Tuttavia contrariamente ai codici di civiltà passate e ormai del tutto estinte la Bibbia ha saputo insinuarsi in tutti i meandri della società occidentale e dove non lo ha fatto o non continua a farlo intra le istituzioni lo ha fatto e continua a farlo come componente tradizionale sia esplicita che implicita alla cultura occidentale. Non va dimenticato che l’Antico Testamento (con le dovute differenze) è libro sacro non solo per i Cristiani ma pure per Mussulmani ed Ebrei e che quanto detto fin ora viene poi ripreso anche in culture diverse da quella cristiana occidentale.
Se citare i passaggi in cui la Bibbia prescrive atrocità e atti barbari come precetti è un gioco che stanca e del resto utile solo fino ad un certo punto, più interessante può essere considerare due dei simboli più forti della cristianità: il Papa e la Madonna.
La figura del Papa, vicario di Cristo, ma in generale tutta la scala gerarchica ecclesiastica, quantomeno della Chiesa di Roma, diventano il chiaro simbolo di una istituzione maschilista che non fa altro che confermare, anche simbolicamente, la subordinazione della donna all’uomo. Poiché la donna è evidentemente “immonda” in virtù del suo “flusso di sangue”. Dunque anche la figura femminile per eccellenza della cristianità, cioè la Madonna ha dovuto subire un processo storico che, per l’accettazione, ha promosso l’epurazione di alcune sue caratteristiche, ovvero proprio quelle che più la caratterizzavano come donna e sostituendo a queste quelle che poi si sono storicamente depositate come tradizionali. Quelle caratteristiche che ancora oggi mi fanno rabbrividire quando sulle tombe dei cimiteri cittadini leggo epigrafi (di più di mezzo secolo fa ovviamente) come: “Donna devota e moglie ubbidiente”. Poiché erano queste le sole virtù consentite alla donna, devozione ed ubbidienza. Persino l’atto biologico del concepimento era stato sovvertito affermando o ribadendo, durante il primo Concilio di Nicea, la nascita verginale di Cristo.
Perché, dunque, solo ora si considera come emergenza sociale la violenza contro le donne? Ribadisco che in questo caso mi limito a definire come violenza, l’atto, il gesto fisico con cui vengono quotidianamente offese fino alla perdita della vita le donne di tutto il mondo. Ebbene, non che in precedenza non vi fossero atti di violenza, ma questi erano limitati dalla volontaria accettazione persino della donna di questa visione maschiocentrica, ragion per cui la violenza (come atto) non era necessaria, ma ciò non vuol dire che non fosse presente in potenza. Ora, invece, che perlomeno le donne (anche se non tutte e non ovunque) iniziano a rifiutare questa visione maschiocentrica, la violenza presente in potenza si trasforma in atto.
Dato che l’Europa ha radici cristiane, ed è lo stesso Papa Francesco a ribadirlo nella sua costante missione politica, mi sembra inevitabile cercare in queste radici (o, se non solo, anche in queste radici) le origini dei tanti mali di cui soffre. Tra questi mali vi è sicuramente la violenza millenaria contro le donne, che a mio modo di vedere non è solamente quella brutale e tutta fisica dell’atto, bensì qualcosa di più profondo.

Se, dunque, è necessario (come sembra) promuovere una soluzione al dilagare delle forme di violenza sulle donne questa soluzione non può ignorare questa forma insanabile di contrapposizione, quasi schizofrenica, tra una società che da un lato promuove giuste campagne contro tale violenza e dall’altra si riconosce e promuove una tradizione che tale violenza non solo ha contribuito a generare ma che continua ad alimentare con i simboli stessi della propria autorità.

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