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L'inconveniente di essere nati: Affinità e divergenze tra Georges Perros ed Emil M. Cioran



Georges Perros e Emil Cioran. Il nome di questi due pensatori del novecento, a molti suonerà nuovo. Non godono certo di grande fama, almeno presso il grande pubblico. E la cosa non stupisce.
Non stupisce perché in entrambi, l’osservatore, individuerà una certa dose di indeterminatezza, di contraddittorietà, di inconcludenza, che li renderà impossibili da inquadrare categoricamente.
Eppure, nonostante tanta indeterminatezza, il nome dell’uno mi ha subito riportato in mente il nome dell’altro. Perché? Mi sono chiesto! E la risposta non solo ha contribuito ad individuare le straordinarie affinità tra l’uno e l’altro ma ha anche, necessariamente, generato l’esigenza di delineare i profili di entrambe.

[Per chi volesse approfondire le biografie dei due autori consiglio gli interessanti siti loro dedicati:

Di loro basti dire che hanno affidato alla prosa breve, brevissima, al frammento appunto, il compito di testimoniare il loro pensiero. Perros ci ha lasciato due raccolte di poesie, tre volumi di Papiers collés e centinia di note di lettura; Cioran, invece, ha prodotto un’opera più articolata ma anch’essa incentrata sulla frammentarietà: suo strumento privilegiato fu, infatti l’aforisma.
C’è in entrambi una, consapevole o inconsapevole, critica all’arte della scrittura in linea con quanto accadeva a livello internazionale nel mondo delle lettere. Ecco cosa scriveva Cioran:
“Il colmo della miseria! Oggi i poeti scrivono di poesia, i romanzieri sul romanzo, i critici sulla critica, i filosofi sulla filosofia, i mistici sulla mistica”.


“Il poeta che medita sul linguaggio dimostra che la poesia lo ha abbandonato.”


 “Quando ci si rifiuta di fare del lirismo, riempire una pagina diventa un supplizio: a che serve scrivere esattamente quello che si pensa?”
Sia Cioran che Perros, infatti, non sono dei rigorosi studiosi di opere o di strutture, non si nascondono dietro il pensiero di altri, né dietro la muraglia di qualche ideologia. Nessuno dei due cerca, né ha la presunzione di dire, la verità quanto piuttosto di smascherare le menzogne del quotidiano e gli inganni della società.
In Perros esiste una profonda volontà di dialogo con il lettore, cosa del tutto estranea a Cioran, e qui sta una delle maggiori divergenze tra i due.
Infatti nonostante entrambi tendano verso una prosa che crei sconcerto e laceri il mondo della morale fu soprattutto Perros ad instaurare, tramite i suoi scritti, un vero e proprio dialogo con il lettore.
Cosicché mentre in Perros la scrittura diventa un modo di comunicare, di svelare e svelarsi all’altro (“sans la littérature, on ne saurait ce que pense un homme quand il est seul”), in Cioran la scrittura serve a svelare l’impossibilità di farlo:
“Gridare rivolto a chi? Questo è stato il solo e unico problema della mia vita.”


“Non bisognerebbe mai scrivere per -fare- un libro, ossia non si deve scrivere con l’idea di rivolgersi agli altri. Si deve scrivere per se stessi, punto e basta.”


“Sono un filosofo urlatore. Le mie idee, ammesso che esistano, abbaiano; non spiegano nulla, strepitano.”
Va ricordato, però, che Perros era fermamente contrario ad ogni forma di insegnamento che cercasse di imporre un modello. Anche quando accettò la cattedra di letteratura all’università di Brest  lo fece proponendo un modello di insegnamento alternativo, fu lui stesso a definire il corso: “cours d’ignorance” .

Risulta, dunque, tanto più curioso che entrambi esprimano i loro pensieri, nati da due esigenze tanto diverse, in maniera tanto simile.
In entrambi, ad esempio, domina l’idea del suicidio e in generale quella della morte; idea che viene rovesciata da entrambi in maniera imprevedibile:
Perros, scriveva:
“Si tout le monde se suicidait Elle n’aurait qu’à rendre son tablier , La mort Elle ne servirait plus a rien”
E Cioran:
“Noi non corriamo verso la morte, fuggiamo la catastrofe della nascita, ci affanniamo superstiti che cercano di dimenticarla. La paura della morte è solo una proiezione nel futuro di una paura che risale al nostro primo istante.”
Idea, condivisa da Perros, per il quale “le drame de tout homme, c’est le scandale de la mort” che ha inizio quando si prende coscienza della propria morte. L’unico rimedio è riconoscersi dispiaciuti di essere nati. E su quest’inconveniente sappiamo che Cioran ci ha scritto un libro intero (L’inconveniente di essere nati) arrivando alla conclusione che:
“Non nascere è indubbiamente la migliore formula che esista. Non è purtroppo alla portata di nessuno.”
Entrambi, dunque, con le premesse appena descritte, si rifugiano nella letteratura. Cioran per l’incapacità di compiere l’estremo sacrificio del suicidio:
“Mi sono perso nelle lettere per l’impossibilità di uccidere o di uccidermi.”
Perros, per sfuggirlo:
“La poèsie, pour moi, c’est le temps durant lequel un homme oublie qu’il va mourir.”
Tutavia, sempre Perros scriverà:
“Ècrire, ce n’est pas guérison; c’est exageration du mal”. 
In entrambi, quella che mi sembra la parte più interessante del loro pensiero, soprattutto se inserita nel contesto novecentesco, è quella riguardante la forma volutamente “sparsa” scelta per dare evidenza ai loro pensieri e la sistematica fiducia nel dubbio e nell’incertezza, forse in risposta agli orrori generati da certa degenerazione della “certezza” e della “verità” proprio nella prima metà del novecento.
In Cioran ritroviamo la ferma volontà di “squartare” o “decomporre” (per usare due termini chiavi del suo lessico) le certezze quotidiane:
“Il modo più sicuro per non sbagliarsi è minare certezza su certezza”
In Genealogia del fanatismo (che è possibili eleggere a questo link: Genealogia del fanatismo) Cioran scrive:
“Il principio del male sta nella tensione della volontà, nell’inattitudine al quietismo, nella megalomania prometeica di una razza che scoppia di ideale, che esplode sotto le proprie convinzioni e che, per essersi compiaciuta di irridere il dubbio e la pigrizia – vizi più nobili di tutte le sue virtù – ha imboccato la via della perdizione […] Le certezze vi abbondano: sopprimetele, sopprimete soprattutto le loro conseguenze, e ricostruirete il paradiso.”
E, infine, conclude scrivendo:
“Il fanatico è incorruttibile: se per un’idea è capace di uccidere, allo stesso modo può farsi uccidere per essa; in entrambi i casi, sia egli tiranno o martire, è un mostro.”
Entrambi si limitano ad esporre i loro pensieri e lo fanno in maniera volutamente non organica. Nella loro scrittura, infatti, non c’è evoluzione o consequenzialità. Una non evoluzione che Cioran ricalca dalla vita:
“Quello che so a sessant’anni lo sapevo altrettanto bene a venti.”
Una non-evoluzione che Perros traduce non solo in aneddotica (spesso priva di alcun valore moralistico) ma in un esibito ingarbugliamento del filo dei pensieri. Perros, del resto, cita spesso Valéry:
“Penser, c’est perdre le fil”
E gli fa eco Cioran, ma questo potrebbe valere anche per Perros, quando scrive:
“Non c’è evoluzione in quello che scrivo”.

“Se avessi portato a termine solo un decimo dei miei progetti, sarei di gran lunga il più fecondo autore mai esistito”
Se in entrambi esiste questa volontà di perdersi nei pensieri, di non ordinarli, in entrambi questa volontà è motivata da una precisa idea di ricerca del vero: “l’intelligenza va avanti solo se ha pazienza di girare in tondo, cioè di approfondire”, scrive Cioran, ed è questo che fanno. 

Entrambi infine raggiungono un nichilismo, forse più esasperato in Cioran, ma di cui non è esente neanche Perros quando scrive:
“Je me suis de trop […]. Je ne travaille pas. Je suis travaillé”
Sarebbe, infine, interessante capire quanto influenza (diretta o indiretta) le filosofie orientali abbiano avuto anche su Perros, visto che Cioran trovò proprio in esse un naturale confluire dei suoi pensieri nichilisti:
“Tutto è superfluo. Il vuoto sarebbe bastato.”

“Tutto è apparenza – ma apparenza di che? Del niente.”
Termino, nell’apparente approdo finale del nichilismo, questo personalissimo viaggio tra i pensieri di Cioran e Perros, sapendo che altre analogie sarebbero potute essere facilmente individuate tra i due autori ma che, con altrettanta facilità, quelle stesse che sono state individuate potrebbero essere smentite.

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