Pagine

Heine profanatore del Tempio, ovvero dell'utilizzo della poesia come mezzo per le vendette personali


"La poesia non è quasi mai nociva" recitava Montale davanti agli impettiti accademici di Svezia quando nel 1975 gli consegnarono il Premio Nobel per la letteratura. Affermazione che suggerisce una serie di riflessioni non tanto sulla nocività o meno della poesia quanto sul concetto stesso di poesia.
Dal poeta, come da Dio, credo, ci si aspetta il bene assoluto e dunque la bellezza. Dal poeta ci si aspetta che perda la sua natura umana, che la trascenda, a favore di una dimensione divina. Dal poeta ci si aspetta, infatti, una onestà sovraumana che riguardi non tanto i contenuti quanto piuttosto le motivazioni. In pratica si ritiene essenziale che l'ispirazione poetica sia genuina e il gesto poetico gratuito. 
Quando questo genuinità viene a mancare la poesia perde una delle sue componenti essenziali, perde la sua qualità di gesto gratuito e dunque il suo sacrore. E lo perde anche nel caso in cui la poesia diventa un mezzo al servizio di cause persino giuste o condivisibili. Non è più poesia, insomma.
Se poi la poesia viene addirittura usata come arma per nuocere o come mezzo per le vendette personali, sul "poeta" che dissacra la poesia scende un'ombra in grado di offuscarne non solo l'opera ma anche la persona.

Ho scritto questa premessa poiché tra le ricerche necessarie alla compilazione del precedente post, "Pace alle capanne! Guerra ai palazi!" Poesia e rivoluzione in germania (1830-1840), ho avuto modo di approfondire quella legata al poeta tedesco August von Platen e alle sue oscure vicende biografiche già usate a pretesto letterario da Thomas Mann nel suo Morte a Venezia.
Uno degli aspetti, a torto, più celebri della vita di e della carriera letteraria di Von Platen riguarda quella che è passata alla storia come "la polemica" con Heine. In realtà uno scandalo montato ad arte dal poeta romantico, Heine, nei confronti del neoclassico von Platen di cui venne "sputtanata" la omosessualità (scusate l'espressione volgare che, però, wittgensteinamente più di altre parole riesce a rendere la volgarità del gesto di Heine).
Neanche Mann, a dire il vero, ebbe un approccio privo di preconcetti moralistici nei confronti dell'omosessualità di von Platen che, soprattutto nel saggio a lui dedicato, pubblicato nel 1930, a più riprese ironizza e svilisce sia l'omosessualità di Platen che l'ispirazione poetica da essa derivata; questo quantomeno stando al parere partiggiano di Giovanni Dall'Orto, mentre il saggio di Pino Di Silvestro su von Platen (Sellerio, 1987) individua in Mann un critico più moderno e meno "moralistico"  di quanto detto da Dall'Orto. Io, in attesa di recuperare quel saggio, e non potendomi esprimere in materia mi limito a riportare i due pareri. Del resto poco importa dato che non di Mann voglio parlare in questo post ma di Heinrich Heine e del suo attacco.
Un libro pubblicato da Quodibet nel 2008 era appunto dedicato al rapporto tra Heine e la polemica (anche se credo che il termine polemica non sia sempre azzeccato per i molti esempi portati dal libro di Marco Rispoli).
Già Berthold Auerbach definì Heine "il fondatore della letteratura scandalistica in Germania" e ne sono testimonianza i numerosi attacchi personali perpretati dalla sua penna, e quello nei confronti di August von Platen è forse il più violento.
Fra gli altri, infatti, Rispoli ricorda gli attacchi a Schlegel, di cui Heine ridicolizza la presunta impotenza sessuale, e quello a Borne che, invece, viene accusato di immoralità per una presunta relazione con una amica. Come già accennato la polemica con August von Platen riguardò la violenta e a tratti volgare (non solo per i modi ma anche dal punto di vista lessicale) accusa di omosessualità.
Dall'Orto nel suo resoconto su von Platen ci introduce la figura di "un omosessuale molto peculiare", almeno per l'epoca, e citando passi del suo diario (il cui ritrovamento a Francoforte ne svelò le più intime passioni) traccia il profilo di un poeta romantico, oseremmo dire se non fossimo sicuri di dargli un dispiacere visto il suo ferreo classicismo. In von Platen, insomma, Dall'Orto individua un uomo che non si accontenta della compagnia casuale dei proletari tedeschi prima e siciliani dopo ma che cerca di trovare (scusate la banalità) l'amore. Il che fa di lui un rivoluzionario e, proprio nell'abbandonarsi ai sentimenti, un romantico, quantomeno nell'atteggiamento nei confronti della vita se non nelle opere. Tale richiesta di amore viene individuata anche da Mann che però la analizza in funzione critica quando scrive:
« L'incompleta comprensione di se stesso, il non ammettere che il suo amore non era per nulla più sublime, ma un amore come tutti gli altri, se pure - almeno al tempo suo - con più scarse possibilità di felice esaudimento, questo equivoco insomma lo spinse all'ingiustizia, all'insanabile amarezza, all'esacerbato rancore per il dispregio e la durezza in (sic) cui la sua ardente dedizione si scontrava quasi ad ogni momento ed esso ha parte evidentissima nel suo risentimento contro la Germania e contro tutto ciò che è tedesco, e finì per spingerlo all'esilio ed alla morte solitaria »
Certo è che, all'esilio e alla morte solitaria, dovette contribuire anche lo scandalo montato da Heine, poiche se è vero che von Platen viveva già in maniera problematica la sua ricerca di amore (non più sublime di ogni altro, almeno a quanto scrive Mann) l'improvviso scandalo e la denuncia della sua omosessualità dovettero turbarlo non poco e non solo in vista della sua spiccata sensibilità ma anche, stando a diverse tesi sulla sua morte, patologicamente.

La polemica con Heine, a dire il vero, era stato von Platen ad iniziarla, mostrandosi (almeno in questo) meno democratico e gratuito di quanto il resto della sua opera facesse presagire.
Con la commedia satirica Il romantico Edipo von Platen realizzò un vero e proprio attacco nei confronti della drammaturgia romantica ed in particolare contro Jmmermann ed Heine. Qui, però, von Platen scade nell'offesa gratuita qualora, pare (dico pare perché nessuna delle fonti da me consultate cita esplicitamente il testo), utilizzi il testo per degli attacci personali. Ecco cosa scrive Di Silvestro:
"Essere romantici anziché classici non lo stimiamo motivo sufficiente a giustificare attacchi rivolti alla persona, come fece appunto Platen, che usò satira tagliente contro quegli atteggiamenti ritenuti da lui -stravaganze romantiche - e uscì di misura in offesa bruciante, personale, apostrofando di -battezzato- Heine"
Quella di "battezzato", francamente, non me ne voglia Di Silvestro, a me sembra debole come accusa e voglio sperare che il testo ne contenga altre che giustifichino la veemenza dell'attacco di Heine che, ebreo di origine, proprio in quel periodo aveva portato a termine una conversione che lo aveva portato ad abbraciare il cristianesimo protestante. 
Ad ogni modo, Heine, nel giro di pochi mesi approntò l'opera I Bagni di Lucca nella quale, con l'ausilio del tempo e dei diritti conquistati, si può individuare non una accusa, una polemica, o una semplice offesa ma un vero e proprio attacco omofobo nei confronti di von Platen.
L'analisi dell'opera richiederebbe molto più spazio di quanto ne abbiamo in questo contesto percui mi limito a citare i passaggi più significativi nonché quelli più volgari.
Ecco una prima allusione:
"- Lo so, dottor Heine, lei appartiene a quella categoria di poeti che fanno sempre di testa loro, e non capiscono che in poesia quel che conta sono i piedi. Ma un'anima gentile si esprime solo in forma confacente, e questa la si può apprendere solo dai greci, o dai moderni che tendono alla perfezione greca, pensano alla greca, sentono alla greca, e in tal modo comunicano all'uomo i propri sentimenti.
- all'uomo, s'intende, non alla donna, come sogliono i poeti romantici, - osservai."
Ma poco più avanti l'attacco si fa più esplicito e volgare:
"Il volume brillante recava sul frontespizio -Poesia del conte Augusto von Platen, Stoccarda e Tubinga, J. G. Cotta editore 1828 - e, sulla pagina posteriore, la scrittura a svolazzi - Pegno di calda, fraterna amicizia - ."
Qui purtroppo la traduzione non rende la volgarita lessicale della lingua tedesca con cui Heine dapprima usa eufemisticamente il termine "posteriore" e poi usa i due termini "warme bruder", qui tradotti come "calda e fraterna amicizia" ma che in tedesco, nel gergo popolare e ordinario,  vengono usati a significare  né più né meno che "frocio" o "finocchio".
Più avanti Heine mette in scena un siparietto in cui il marchese si esprime in questa maniera a proposito delle poesie di Platen:
" - Lo giuro su nostra signora di Loreto - continuò - Come è vero che sono un gentiluomo, queste poesie non hanno uguale! Ieri sera, quando il Fato mi vietò di possedere la mia Giulia, ha visto anche lei che ero al colmo dello smarrimento, come dire au desespoir. Ebbene, ho letto queste poesie, una ogni volta che dovevo alzarmi [poiché il marchese aveva preso una pugha ed evidentemente le leggeva al gabinetto] e ne ho tratto una così profonda indifferenza per le donne, che ho finito per arrossire delle mie smanie amorose. Il bello di questo poeta è appunto che vibra di calda amiciza [sempre i due termini "warme brudere" ad alludere a "finocchio"] e questo è un onore di cui dovremmo essergli eternamente grati. In questo è più grande di ogni altro poeta; non lusinga i gusti banali del volgo, ci guarisce dalla passione per le donne, che è la nostra disgrazia..."
Tuttavia l'attacco più violento, quello direttamente creato per far male a Platen si trova qualche passo più avanti:
"...poiché il nome uomo non gli si addice per nulla, il suo amore ha un carattere passivamente pitagorico, nelle sue poesie egli è un pathicus [sodomita passivo], è una donna che si compiace del suo sesso, direi quasi una tribade [lesbica] maschile. Questa natura equivoca traspare in tutte le sue poesie d'amore; trova sempre un nuovo bell'amico; nei suoi carmi ricorre sempre una specie di poliandria... chi volesse oppormi che do troppa importanza al conte von Platen vada a Parigi e osservi con quanta cura e minuzia il fien e garbato Curvier descrive fin nei minimi particolari l'insetto più immondo..."
Ciò che più dispiace non è il passivo moralismo con cui Heine attacca non solo von Platen ma anche le tante altre vittime delle sue vendette personali, né l'omofobia, ahimé, comprensibile per il tempo, quanto piuttosto che idee tanto volgari (nel senso etimologico di relative al volgo, al popolo) siano state pensate e condivise da una mente che i libri di letteratura ci tramandano come una delle più fini ed autentiche della seconda stagione del romanticismo tedesco. Se, come dicevamo prima, dal poeta di si aspetta che trascenda la natura umana, che la superi rivelando a se stesso e agli altri un ideale di bellezza che il volgo non è in grado, senza il poeta, di raggiungere, beh allora Heine non solo non è un poeta ma è un profanatore del "tempio", un sacrilego, un blasfemo.

Nessun commento:

Posta un commento