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Ancora su I Barbari di Baricco e sul passaggio della parola scritta dal piano dell'espressione a quello della comunicazione


Qualche giorno fa mi sono ritrovato a leggere un passo di Giacinto Spagnoletti su Edoardo Sanguineti che stranamente si concludeva con una riflessione su Il nome della rosa di Umberto Eco, già additato da Baricco come il primo romanzo in cui su grande scala si impongono delle regole nuove di linguaggio, le regole, appunto, dei barbari.  Ho già fatto notare, più volte, su questo blog, che uno degli aspetti che più condivido dell'analisi di Baricco è quello riguardante la differente finalità della parola scritta che, nell'ultimo cinquantennio, ha visto il passaggio dall'espressione alla comunicazione. 
Fatta questa necessaria premessa vi copio le parole di Spagnoletti nelle quali parlando proprio de Il Nome della rosa fa riferimento alla perdita di espressività presente nella scrittura di Eco:
"Lo hanno affascinato il gusto del romanzo poliziesco - in particolare la tecnica di Agatha Christie -, la scoperta di alcuni episodi ricorrenti lungo il secolo xiv e il nostro [si riferisce a Sanguinetti], specie le lotte degli e agli eretici (i fraticelli, le brigate rosse), l'idea soprattutto di piallare la lingua italiana sino a toglierle l'ultimo granello di espressività. Il pubblico di alcuni paesi occidentali lo ha premiato. Il noioso giocattolo si vende bene."

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