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Gustave Flaubert, alcune riflessioni su L'educazione sentimentale


Di Flaubert ho già parlato in un post dedicato a Bouvard et Pécuchet ma data la mia recente, e tardiva, infatuazione per la sua prosa ritorno sull'argomento prendendo spunto da uno dei suoi capolavori: L'éducation sentimentale. Histoire d'un jeunne homme.
Si dice che i grandi autori non facciano altro che scrivere e riscrivere la stessa opera per tutta la vita, ed in parte è vero. Per Flaubert sicuramente. Infatti se Bouvard et Pécuchet è un opera che può considerarsi, quantomeno in parte, fallimentare, va altresì ricordato che in tutte le sue opere Flaubert ha disseminato i germi di questa opera che ebbe in testa per tutta la vita. 
La stupidità umana, il luogo comune sono sempre presenti nelle sue opere e sempre soggetti alla sua sottile ironia e a quell'arte retorica di mostrare piuttosto che di spiegare. Tuttavia mentre è, a mio avviso giustamente, spietato con la stupidità borghese, non altrettanto fa con quella ingenuità di matrice popolare. A proposito di Un coeur simple infatti, nonostante una lettura maliziosa possa suggerire una derisione da parte dell'autore nei confronti della protagonista, è Flaubert stesso, nella sua corrispondenza, a smentire un tale tipo di interpretazione e ad evidenziare il diverso trattamento della stupidità che, insopportabile nei borghesi, assume un diverso connotato nelle classi popolari. Una sorta di quel candore che poi, un secolo dopo, Pasolini ritroverà nell'ignoranza piena di grazia dei borgatari romani.
Ritornando all'argomento, che sarebbe L'éducation sentimentale, vale la pena ricordare alcuni aspetti. Innanzitutto, lo avevo già accennato nel post su Bouvard et Pécuchet, l'inguaribile ottimismo positivistico di Flaubert che scrive per cambiare la realtà. Basta ricordare come reagì dopo le rivolte del 1870-71 quando davanti alle Tulleries in fiamme ebbe a dire che tutto questo non sarebbe accaduto se L'éducation sentimentale fosse stato capito. La seconda cosa che vale la pena di ricordare è l'argomento del romanzo. Claudio Magris (che in questi giorni ha avuto un'improvvisa popolarita dopo che un brano di un suo libro è stato oggetto di una delle tracce della prima prova dell'esame di maturità) ebbe a scrivere un breve testo intitolato Flaubert e il libro sul niente in cui scrive:
"Il soggetto inesistente o quasi invisibile del progettato libro su niente è anche il vuoto echeggiante di chiacchiere sul quale sono costruite la civiltà e la società, il nulla in cui s'inarcano e volteggiano le parole e le fedi, i baldanzosi programmi e i tronfi ideali; è il terreno ideale sul quale si posano le città, gli stati e le chiese, le verità e le filosofie..."
Ovviamente impossibile non pensare a Bouvard et Pécuchet. Tuttavia se questo è il vero argomento del romanzo altro è quello della narrazione. In cui si è soliti verdere il ritratto di un'intera generazione, quella della gioventù del 1848, e del suo fallimento. A me sembra di vedere, al di là della contestualizzazione storica, il ritratto ideale di ogni generazione e persino il ritratto universale della formazione della coscienza umana; in tale senso risultano illuminanti le parole di Thibaudet che nel suo volume dedicato a Flaubert scrive:
"Il pubblico chiede a un romanzo di dargli l'illusione della realtà, e non di fargli capire che la realtà è un'illusione".
Tema, quest'ultimo, che è il più grande lascito di questo romanzo che ha fatto fare alla letteratura, ed in generale alla coscienza dell'uomo sulla propria stessa vita, un balzo in avanti spazzando via sia la letteratura che lo aveva preceduto, sia quella che lo inevitabilmente ha seguito. Sempre Magris, infatti, senza timore di essere contraddetto, scrive quella che potrebbe sembrare una esagerazione e che, conti alla mano, risultà una evidenza letteraria sulla quale è impossibile non interrogarsi:
"Se dopo L'éducation sentimentale non fossero stati scritti altri romanzi, avremmo perso grandi capolavori, ma la nostra coscienza della vita non sarebbe molto diversa."
Il che ci porta a quello che diceva Barthes nel suo saggio su Bouvard et Pécuchet, come se Flaubert stesso avesse intuito che ogni altra opera, dopo quella, non avesse più significato:
"Non si scrive più per questa o quell'altra ragione, ma l'atto di scrivere è gravato dal bisogno di senso, ciò che oggi si chiama la significanza ( signifiance). Non la significazione (signification) del linguaggio ma proprio la significanza."
Avevo concluso il precedente post su Bouvard et Pécuchet citando un passaggio ammirevole non solo per l'argomento trattato (il suffragio popolare e l'educazione del popolo: non per nulla da li ha poco sarebbero nati regimi totalitari populisti) ma anche per un particolare procedimento retorico usato da Flaubert che si potrebbe definire come il gesto del mostrare. Anche in L'éducation sentimentale ho voluto isolare una scena del libro costruita con questo procedimento, ragion per cui concludo copiandovi questo breve brano (nella traduzione di Lalla Romano):

"Lì almeno li aveva sotto di sé, quei briganti! Godeva della loro disfatta, della loro abiezione, e non poteva trattenersi dall'insultarli.
Uno di loro, un'adolescente dai lunghi capelli biondi, s'affacciò alle sbarre e chiese del pane. Il signor Roque gli ordinò di tacere. Ma il giovane ripeteva con voce lamentosa:
- Pane!
- Forse ce n'ho, io?
Altri prigionieri apparvero nel pertugio, con le loro barbe irsute, gli occhi accesi: tutti si spingevano e urlavano:
- Pane!
Il sigror Roque fu indignato di vedere misconosciuta la sua autorità. Per spaventarli, li prese di mira col fucile; e il giovane, sollevato fino al soffitto dalla folla che lo soffocava, con la testa rovesciata all'indietro, grido ancora una volta:
- Pane!
- Prendi, eccolo! - disse Roque, e lasciò partire un colpo.
Vi fu un urlo enorme, poi più niente. Sull'orlo della buca era rimasto qualcosa di bianco.

[ Dopo questa scena il Signor Roque se ne ritorna a casa dove trova le due figlie e Flaubert s'abbandona nella descrizione di una scena di tutt'altro genere ]

Poi, quando fu a letto, il signor Roque volle tutte le coperte possibili per sudare. Sospirava, gemeva.
- Grazie mia buona Catherine! Bacia il tuo povero papà, cocca mia! Ah! Queste rivoluzioni!
E siccome sua figlia lo rimproverava di essersi ammalato perché si era tormentato troppo per lei, rispose:
- Si! Hai ragione. Ma è più forte di me! Io sono troppo sensibile! 

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