La vita di Giovanni
Camerana (1845-1905) fu caratterizzata dalla dolorosa lacerazione tra
l'ufficialita e l'interiorità. Camerana, infatti, fu Procuratore del
Re a Ivrea, a Torino, Saluzzo e nel 1905 divenne Procuratore generale
di Cassazione. Anno in cui, non potendo più sostenere tale
lacerazione, si tolse la vita.
In vita pubblicò
pochissimi versi, tutti sotto pseudonimo; la sua bibliografia,
infatti, è costituita soprattutto da saggi e articoli di critica
d'arte. I versi vennero raccolti e pubblicati postumi, nel 1907.
(Link alla versione digitale di Giovanni Camerana, Poesie)
Seppure l'atmosfera dei suoi versi,
nonché le sue frequentazioni, siano assimilabili all'ambiente
scapigliato non tutti sono concordi quando si tratta di affiliarlo a
tale corrente letteraria. Soprattutto gli si imputa la mancanza di
una forte poetica di ribellione nei confronti delle consuetudini e
dei gusti borghesi. L'intimo dissidio sembra smentire tale accusa e
del resto la lettura dei suoi versi lascia presagire un superamento
in chiave esistenziale di tale tematica che non viene più spinta
all'esterno ma interiorizzata. Giacinto Spagnoletti, infatti,
individua in Camerana il poeta italiano che meglio riuscì a far
proprio il simbolismo francese: “I colori invertiti non sono
naturalistici, ma simbolistici, quasi a ribadire il rifiuto di
qualsiasi espediente veristico. Poche volte lo stesso Pascoli sarà
pari a questi risultati; perchè Camerana può contare su una forza
evocativa e su un rigore stilistico che mancavano in genere agli
scapigliati e che maggiormento lo accosta al simbolismo europeo.”
Proprio sul rigore
stilistico mi voglio soffermare. Quello stesso rigore con cui, è
sempre Spagoletti a dirlo, Camerana riesce a “tradurre i toni
sfumati e le strutture musicali di Verlaine”.
Iniziando a leggere le sue poesie è facile rendersi conto che, seppure con
una quota di originalità, le atmosfere dei versi di Camerana sono totalmente
scapigliate.
Nella lirica Fra le Alpi ecco l'apparire di un motivo tipico della
scapigliatura quando scrive:
“Squallide amiche de la mia carriera,
Noia e tristezza,
Che mi pingete del color di sera
La giovinezza;
Che giorno e notte mi cantate al fianco
Un canto roco,
E m’avvolgete nel sudario bianco
A poco a poco”
Quella stessa noia che ritroviamo in A Federico Pastoris:
“E noi salimmo al placido sagrato
Del convento lassù, fuori le mura,
E mentre scintillavano
Le strofe d’oro del cielo stellato
Io ti dissi una lirica
Una lirica mia bieca ed oscura.
Eran nati quei versi in ora bruna,
Eran figli del tedio e del sogghigno;
Gridi vaghi dell’anima,
Sogni diafani come alba di luna,
Poi stridenti bestemmie,
E parossismi del labbro maligno...”
Tema che viene ripreso anche nel dialogo con un'altro scapigliato, quella
che viene definita “stirpe fosca e malata”. nella poesia A Arrigo
Boito:
“Or la pallida Inerzia e la Tristezza,
Come due sfingi, stanno a la mia porta.
Tu almeno, Arrigo, la spietata brezza
Disfidi del tuo male;
E virilmente de la fede morta
Assisti al funerale.
Entro te pure il sozzo verme annida,
Ma sei nel canto aerea farfalla.
Dunque te stesso all'arpa tua confida...”
Ecco che in questi versi Camerana sembra mostrare un superamento della
poetica scapigliata esponendo egli stesso la differenza tra le sue motivazioni
e quelle di Boito. Il dramma, quel tedio, quel conflitto con la vita borghese,
in Camerana non è rivolta esteriore ma esistenziale. Mentre per altri basta, è
sufficiente in un certo senso, lo scrivere versi, per Camerana no. Ed è
esemplare in tale senso la lirica Grido intimo:
“Mentre il mondo al dolor dice follia,
E sapiente chi ’l trastulla è sol;
Mentre d’ogni inquieta fantasia
Lo sdegno è figliuol;
Agli ermi io fuggo, a le foreste, ai monti,
Sempre spinto dal mio dèmone arcan;
Sempre all’albe conforto ed ai tramonti
Chieggo, ma invan.
[...]
E passo nella vita a capo chino
Piena l’alma d’affanno e di squallor;
E il tedio, inesorabile Ugolino,
Mi rode il cor.”
Ovviamente tanti sono gli esempi di liriche le cui atmosfere e
ambientazioni vengono mutuate dagli ambienti scapigliati. Ad esempio, l'ambientazione
sepolcrare e l'atmosfera di desolazione della lirica Cerco la strofa:
“Cerco la grigia strofa indefinita,
La indefinita strofa orizzontale,
In cui si volga, con cadenza blanda,
Come sui mesti orizzonti, in Olanda,
Dei pensosi mulini a vento l’ale,
Il fascinante sogno sepolcrale.”
O ancora in Autunnale, dove all'ambientazione sepolcrale si aggiunge
un accenno di maledettismo:
Io son l’albero strano, che protende
Sotto le fredde nubi accavallate
I biechi rami; e fra le interminate
Solitudini, e per le steppe orrende
L’albero maledetto io son, che attende
Giù dalle torve nubi accavallate
La folgore fatale, onde troncate
Vi sperda Iddio, presàghe ansie tremende,
Infinite stanchezze, ore più affrante
Ore più tristi che un calar di feretro
Dentro la sepolcral fossa beante;
A me il vento di morte!...A me i tramonti
Del funereo novembre; io son lo scheletro
Spaventator dei lùgubri orizzonti.
Tuttavia se nelle due liriche precedenti può scorgersi una facile
affiliazione alle tematiche scapigliate, seppure in Camerana sempre supportate
da una maestria tecnica non trascurabile, in altre, invece, emergono sfumature
sorprendenti come in Ad sepultam II:
“S'io potessi sentir nella mia mano,
Assidua idea! della tua man di scheletro
il gelo strano;”
Del resto ancora più sorprendente è la lirica intitolata Alla cloaca
massima, nella quale la descrizione della sozzezza fogniaria si accompagna
alla riflessione esistenziale sconfortante dell'ultima terzina:
“Ma poiché lasci indietro il cuore umano,
poiché il suo fango vomitar non puoi,
Senti! … anche il tuo, cloaca, è una nome vano.”
A queste liriche altre se ne aggiugono in cui, anziché esposto, il
malessere esistenziale viene rappresentato raggiungendo un lirismo, lo dicevamo
prima citando Spagnoletti, in grado di eguagliare le liriche di Pascoli.
Mirabile, in questo senso, perchè programmatico ed esplicativo di tale tipo
di poetica è l'incipit della lirica Ad un amico:
Nereggianti sui mesti crepuscoli dorati
Amo i difformi boschi e i piani sconfinati;
D’un lago solitario amo la pace arcana,
E in sen de la vallèa l’eco d’una campana;
Amo veder sul pallio tacente de la neve
Piover di tonda luna il raggio azzurro e lieve;
Amo le mille voci che a noi manda Natura
Dai sepolcri, dai fiori, dall’acque e da la pura
Volta del ciel: canzone che a languidi frammenti
Il poeta raccoglie ne’suoi più sacri accenti.”
Ecco, dunque, due esempi di come il poeta Camerana raccoglie in frammenti i
sacri accenti della natura.
Il Pioppo nell'azzurro
Il pioppo nell’azzurro
È un vivo tremolìo di grigio e argento;
Fa in mezzo ai rami il vento
Lento sussurro.
Per la marea dorata
Delle messi, olmi e noci hanno sembianza
Grave; la lontananza
Brilla infiammata.
Rosseggia il cascinale
Fra pianta e pianta; il muricciuol di creta
Piove una larva queta
Dentro il canale.
Dentro il canale, a riva,
Cinque bianche anitrelle in concistoro
Si dicono fra loro
L’egloga estiva.
Verran le luccioline
Stassera, or pieno il prato è di farfalle:
Candide, glauche e gialle,
Grandi e piccine.
Al gaio torneamento
La libellula mesce il suo ronzìo...
E il pioppo è un tremolìo
Di grigio e argento.
Sul cretoso declivio
Sul cretoso declivio a piombo sfolgora
Il sol meridiano.
Profilo giallo che spicca in sul diafano
Orizzonte lontano.
Tanto azzurrino è il cielo e tanto limpido
Che lo diresti nero;
Baccanal di cobalto, ampia vertigine
Dell’occhio e del pensiero.
Beppo, il monello, sul clivio s’arrampica;
La sua camicia brilla
Come neve. Io lo guardo, egli mi abbaglia...
Tutto esulta, sfavilla.
Ma
il conforto della natura, l'abbiamo già visto in Grido
intimo è vano (Sempre
all’albe conforto ed ai tramonti // Chieggo, ma invan).
Così
a Camerana non resta che sognare come in Quies
una vita monastica con “Fra Martino o Fra Giocondo
// lontan lontan dal
mondo” oppure rievocare
la giovinezza nella splendida Quando eravam studenti di
Pavia, che riporto per intero:
Quando eravam studenti di Pavia,
La pipa in bocca e il cappel sull'orecchio
E s'annegava la malinconia
Del diritto roman nel vino vecchio;
Quando in barba agli stoici ed ai pedanti
Si ridea di Lucrezia e si giurava
Che un museo di citrulli erano i Santi
E che Maria nel Cielo s'annoiava;
Che il piu fulgido cielo era l'azzurro
Di due pupille adolescenti e belle;
Che il cantico piu dolce era il sussurro
Dei colloquii d'amor sotto le stelle;
Quando s'andava, moribondo il sole,
A veder nelle fosche praterie
Le imporporate gotiche chiesuole
In mezzo all'eco dell'avemmarie;
E fra il nero dei boschi, alla lontana,
Parea di rame livido il ponente;
Un incendio parea di qualche strana
Troia spettral, miraggio della mente;
Quando a piene bandiere, a tutte vele,
Si navigava per il mar del bello
E gli Argonauti 1'immortal Cibele
A conquistar guidava il sacro vello;
II vello d'oro della strofa lieta,
L'idea profonda e pazza, il sogno immenso;
E si urtavan nell'anima inquieta
La bestemmia e l'amor, nebbia ed incenso;
Quando, come nel Fausto, in primavera,
Sotto un ciel di smeraldi e nuvolette,
Sulle mura uscivam, gioconda schiera,
A dir versi e a guardar le giovinette;
E pensavam la bionda Margherita,
Pensavam la stanzuccia e l'arcolaio,
E una campagna vaga, una romita
Calma fra i baci, il nido angusto e gaio;
Quando terribil come un'idra, e fiero
Come lo squillo delle sette trombe,
L'inno alla patria si tuonava e al nero
Di della clade e alle gloriose tombe:
O malaria dell'oggi, afa e cancrena,
O fortezze d'allora, o poesia,
O scintillante poesia serena,
Quando eravam studenti di Pavia! . . .
Nel
complesso l'esperienza poetica di Camerana sembra avere uno slancio
superiore a quello dei suoi contemporanei, soprattutto negli ambienti
scapigliati, pure (questo slancio) rimase sempre inespresso e, pur
avendo Camerana raggiunto ottimi risultati e dimostrandosi un
verseggiatore eccellente, lascia immaginare una grandezza che non fu
mai in grado di raggiungere, seppure tra gli scapigliati fu quello
che più vi andò vicino.
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