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Cacciatori di Indios, riflessione sul colonialismo ed i suoi crimini


Dopo essere andato “distrutto” in un misterioso incendio 45 anni fa, è tornato inaspettatamente alla luce un rapporto scioccante che descrive dettagliatamente le orribili atrocità perpetrate contro gli indiani del Brasile tra gli anni ’40 e ’60.

Il rapporto fu commissionato nel 1967 dal Ministro dell’Interno brasiliano. Le rivelazioni dei crimini commessi contro le popolazioni indigene del Brasile dai potenti latifondisti e dal Servizio governativo per la Protezione dell’Indio (SPI) provocarono sdegno in tutto il mondo...” (continua a leggere l'articolo su Survival)



Prendo spunto da questo ritrovamento per introdurre il vasto tema della colonizzazione a cominciare da quella che viene ricordara come l'epoca eroica della navigazione a vela. Tema che ho sempre ritenuto fondamentale proprio perché mai veramente discusso se non in forme che sconfinano nella mitologia e nell'eroismo, eroismo sui cui valori sarebbe bene soffermarsi.

Pertanto credo, e ho buoni motivi per farlo, che il colonialismo (senza nemmeno indagare se ce ne sia di positivo o negativo) sia stato e continui ad essere uno dei più grandi e duraturi crimini contro l'umanità perpetrati dal genere umano e in particolar modo da una occidente barbarico e incivile. Una Auschwitz che dura da almeno cinque secoli nell'indifferenza di quei popoli che non solo la hanno generata ma che la hanno persino giustificata e resa eroica.



Di recente ho letto Cacciatori di Indios di Francisco Coloane. Opera che dal punto di visto letterario non presenta grandi motivi di interesse e che, francamente, ho trovato poco scorrevole e di difficile lettura. Eppure credo che sia una di quelle opere da conservare e concordo con Luis Sepúlveda quando scrive che “con Coloane qualcosa di nuovo è entrato nella casa della letteratura”. Nello specifico si tratta del massacro lucido, perché organizzato, degli indigeni della Terra del Fuoco: il popolo Ona (conosciuto anche come Selk'nam, o Fuegino). Popolo oggi estinto; anzi, sistematicamente portato all'estinzione con vere e proprie campagne di sterminio.

La storia degli Ona mi permette di sottolineare un aspetto che supera la violenza fisica di cui questo popolo, come altri, fu vittima e che riguarda, prima ancora di questa, una sorta di violenza “intellettuale” (mi viene da dire) con cui una cultura, essenzialmente l'occidente cristiano, ritenendosi superiore, in civiltà, cercò di imporsi su ogni altra forma di cultura o di civiltà.



Uno degli eventi epocali di questo occidente civilizzato fu la Esposizione universale di Parigi del 1899 di cui ancora oggi l'enorme mole ferrea della Tour Eiffel ne ricorda i fasti. Ecco cosa scrive Coloane di quell'Esposizione:

Nell'Esposizione Universale di Parigi del 1899, dentro una gabbia di ferro sovrastata da un telone che pretendeva di riprodurre una tenda indigena, con tanto di gagliardetti e bandierine colorate, oltre a cartelli allusivi che suscitavano la curiosità morbosa dei visitatori spingendoli a pagare il biglietto, gli europei potevano ammirare gli antropofagi della Terra del Fuoco.

Gli Ona, del resto non erano nemmeno atropofagi, e anche in quel caso non sarebbe stata giustificata la loro cattura e la loro immonda esposizione in una fiera. Dunque viene da chiedersi se sia questa la civiltà tanto vantata dall'occidente, quel gradino che aveva permesso all'occidente cristiano di elevarsi sul resto dei popoli e sulle culture da loro espresse. Me lo chiedo anche perchè Darwin (di cui avrò modo di parlarvi in seguito) proprio parlando del popolo Ona e descrivendolo come uno dei popoli meno civilizzati concepisce una riflessione abbastanza profonda e tragica sul concetto e l'origine della civiltà così come si è venuto, storicamente, a concretizzare.

Darwin scrive:

La perfetta uguaglianza esistente fra gli individui che compongono le tribù dei fuegini ritarderà per lungo tempo la loro civilizzazione. Così come gli animali che sono spinti dall'istinto a vivere in società e a obbedire ad un capo sono più soggetti a miglioramenti, lo stesso avviene nelle razze umane. Sia che consideriamo questo fatto come una causa o un effetto, le razze più civili hanno sempre i governi più complessi. […] Nella Terra del Fuoco, finché non arriverà un capo che abbia sufficiente forza per mantenere un qualsiasi vantaggio acquisito, come per esempio il possesso di animali domestici, non sembra quasi possibile che le condizioni politiche del paese possano migliorare. Attualmente anche una pezza di panno data a un singolo viene strappata in strischie distribuite a tutti, e nessun individuo diviene più ricco dell'altro. D'altra parte, è difficile comprendere come possa sorgere un capo finché non vi sia una proprietà di qualche genere, per mezzo della quale egli possa manifestare la sua superiorità ed accrescere il suo potere.

Confesso che, personalmente, ho trovato questo discorso molto interessante anche se limitato. In quanto presuppone una civiltà inprescindibile dal capitalismo e dunque non ammettendone altre. Va tuttavia sottolineato che è una affermazione che Darwin propone da scienziato, da osservatore e dunque scevra da ideologismi.

Ad ogni modo è evidente che Darwin era in grado di percepire i difetti e vizi della civiltà occidentale. In un passo del diario di poco successivo a quello sopra citato Darwin scrive:
questa tribù ha avuto così tanti contatti con marinai e balenieri che la maggior parte degli uomini parla un po' di inglese e di spagnolo; essi sono in parte civilizzati, e corrotti in proporzione.

Risulta evidente che, sia che si consideri positivamente, sia che si consideri negativamente, il colonialismo ha caretterizzato l'imposizione di un modello dominante su ogni possibile variante; oltretutto contribuendo al riconoscimento di un valore unico al concetto di civiltà ed escludento la possibilità di esistenza di civiltà diverse.



Una delle letture che maggiormente mi è servita per comprendere i meccanismi del colonialismo è stata quella del Diario di bordo di Cristoforo Colombo. Confesso con candore il mio stupore dopo averne iniziato la lettura (stupore pari solo alla scoperta che il famoso libertino Casanova fosse in realtà un monaco con tanto di tonsura e sottana clericale). Per chi, come me, ha idealizzato, aiutato come nel caso di Casanova da una propaganda viziata, la figura di Colombo, e del suo mitico viaggio, la lettura del documento storico (il diario) riserva non poche sorprese, e tutte ahimé tristemente negative.

Colombo non era un sognatore, un navigatore eroico, né un uomo spinto all'avventura da grandi ideali. Dai sui diari emerge una figura di uomo pratico, dedito al più cinico negozium di derivazione romana, attento al guadagno in tutte le sue forme e già con un preciso intento coloniale.

Al primo contatto con gli indigeni Colombo non mostra alcuna meraviglia, alcuna curiosità o interesse intellettuale. La sua unica preoccupazione è diplomatica, oltretutto stupisce la freddezza con cui tratta i nuovi popoli che incontra come se non potessero essere che schiavi.

Così scrive ai Reali di Spagna:

Questa gente è molto ingenua in fatto di armi, come vedranno le Vostre Altezze dai sette di essi che feci prendere per portarli a imparare la nostra lingua e rocondurli indietro, a meno che le Vostre Altezze non vogliano ordinare di portarli tutti in Castiglia, oppure tenerli schiavi in questa stessa isola, perchè con cinquanta uomini li terranno tutti sottomessi e faranno far loro tutto ciò che vorranno.

Di tutt'altro tenore, invece, ma siamo già nel dicianovesimo secolo, i commenti di Darwin e di Melville. Due testimonianze straordinarie di due uomini straordinari. In particolare faccio riferimento a Typee di Melville (di fatto scritto quando Melville non era ancora scrittore, fu la sua prima pubblicazione, e non si può certo considerare un romanzo bensì una testimonianza della sua permanenza forzata presso una delle tribù che abitavano l'isola polinesiana di Nuku Hiva) e al Diario che Darwin tenne (e rimaneggio in seguito) durante il suo primo viaggio intorno al mondo a bordo del brigantino Beagle.

Due libri che rivelano la curiosità di due uomini straordinari, per civiltà e razionalismo, nei confronti di culture e popoli diversi; che contribuiscono a documentare i crimini e le violenze del colonialismo e posano sulla realtà che li circonda e sugli effetti della cosiddetta civilizzazione uno sguardo interrogativo e razionale.

Ecco alcuni aspetti che Darwin annota nel suo diario, dimostrando che i suoi interessi erano in grado di superare quelli della specifica scienza che fu in grado di rivoluzionare con le sue teorie.

Alcuni indiani che erano stati fatti prigionieri diedero informazioni circa una tribù che viveva a nord di Rio Colorado; vennero spediti 200 soldati, che individuarono gli indiani dalla polvere sollevata dai loro cavalli, perché proprio in quel momento si erano messi in viaggio […] Gli indiani, uomini, donne e bambini, circa 110 di numero, furono quasi tutti presi o uccisi, perché in combattimento i soldati non badavano a chi colpivano con le sciabole. […]

ancora più tremendo è il fatto, confermato con assoluta certezza, che tutte le donne che sembrano avere più di vent'anni vengono massacrate a sangue freddo! Quando ho detto al mio interlocutore che mi sembrava una cosa veramente inumana, mi ha risposto: Cos'altro dovremmo fare? Sono così feconde!

Tutti qui sono convinti che questa sia la guerrà più giusta da fare, perché rivolta contro dei barbari. Chi potrebbe credere che simili atrocità accadano nella nostra epoca in un paese cristiano civilizzato? I bambini degli indiani vengono risparmiati per essere venduti o dati come servitori, o piuttosto schiavi, per tutto il tempo in cui i padroni riescono a fargli credere che non possono essere altro che schiavi, ma penso che non abbiano molte possibilità di lamentarsi della loro condizione.

Uguale resoconto viene fornito circa le popolazioni polinesiane (di cui meglio parlerà Darwin) sia di quelle riguardanti il continente australiano. Dalla Terra di Van Diemen (l'attuale Tasmania) Darwin ci porta la testimonianza di come l'isola fosse stata teatro di una vera e propria caccia agli aborigeni che di fatto erano stati deportati in massa rendendo l'isola disabitata (Gli aborigeni sono stati scacciati dalla loro isola natia in soli trent'anni”).

Straordinaria inoltre la sensibilità animalista ed ecologista di Darwin, che non è qui il luogo di indagare; come anche l'interesse nei confronti delle condizioni di lavoro e di vita nelle varie realtà da lui incontrate.

Per concludere mi piace riportare una lunga e fecondissima riflessione di Melville che dopo aver abitato la valle di Typee per diversi mesi si rende conto dell'inevitabile mutamento che la società occidentale, con il suo colonialismo e con l'imposizione della sua propria forma di civiltà, porterà a quella valle. Del resto già nei primi capitoli di Moby Dick l'incontro tra Ismaele e Quiqueg è quanto di più alto mai scritto in letteratura sull'incontro e sul reciproco rispetto tra razze, culture e religioni diverse.

O popolo sfortunato! Rabbrividisco quando penso alla trasformazione che pochi anni produrranno nel suo soggiorno paradisiaco. Quando i vizi più distruttori e le peggiori servitù della civilizzazione avranno scacciato dalla vallata la pace e la felicità e i magnanimi francesi avranno proclamato all'universo che le Isole Marchesi sono state convertite al cristianesimo, questo sarà senza dubbio un glorioso avvenimento per il mondo cattolico. Che il cielo protegga le “Isole del Mare”! La simpatia che ha per loro la cristianità ha troppo spesso – ahimé! - portato alla loro scomparsa.

Purtroppo questi poveri isolani non comprendono, nel guardarsi intorno, quanta parte dei loro disastri nasca da certi ardori salottieri, sotto il cui influsso, mentre sorbiscono il tè, gentiluomini dall'aspetto benevolo e in cravatta bianca sollecitano elemosine, e vecchie dame occhialute e fanciulle in sobrie sottane corte contribuiscono con pochi soldi alla creazione di un fondo allo scopo di migliorare le condizioni spirituali dei polinesiani, ma il cui fine è stato quasi invariabilmente quello di compierne la distruzione terrena!

Si civilizzino pure i selvaggi, ma si civilizzino in bene, non in male. Si distrugga l'idolatria, ma non sopprimendo gli idolatri. Gli anglosassoni hanno estirpato il paganesimo dalla maggior parte del Nord America, ma con esso hanno anche estirpato la maggior parte dei pellerossa. La civiltà elimina gradatamente dalla terra le ultime vestigia del paganesimo, e al tempo stesso ne riduce a vista d'occhio i disgraziati adoratori.

Nelle isole della Polinesia non si sono ancora rovesciati gli idoli, demoliti i templi e convertiti gli idolatri in cristiani nominali, che già la malattia, il vizio e la morte fanno la loro comparsa. La terra spopolata è allora invasa da un'orda rapace di individui illuminati che si stabiliscono nei suoi limiti e annunciano a gran voce il progresso della verità. Ville eleganti, giardini curati, prati rasati, campanili e cupole s'innalzano, mentre il povero selvaggio non si vede che come un intruso nel paese dei suoi padri, nel luogo stesso della capanna in cui è nato. Accaparrati senza vergogna dallo straniero, i prodotti spontanei della terra, riservati dalla saggezza divina alla sussistenza degli indolenti indigeni, sono divorati sotto gli occhi degli abitanti famelici o spediti a bordo dei molti bastimenti che toccano ormai le loro rive.

Quando i miserabili affamati sono privati così delle loro risorse naturali, i benefattori fanno loro credere che devono lavorare e guadagnarsi il pane col sudore della fronte. Ma più che a un delicato gentiluomo nato nell'opulenza ereditaria, il lavoro manuale è contro natura per il voluttuoso selvaggio una volta spogliato della generosità del cielo. Abituato a una vita indolente, non può né vuole sforzarsi; e il bisogno, la malattia e il vizio, tutti mali d'importazione straniera, pongono ben presto termine alla sua miserabile esistenza”.


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