Il male – come il bene
– è di una purezza che non può non essere ammirata. Ecco cosa
sembra suggerirci Balzac nel suo Père Goriot. Balzac che di
certo non è Jean Genet. Eppure la sua spietata messa in scena non di
un dramma ma della consuetudine della vita borghese parigina è
evidentemente volta ad evidenziarne la meschinità illuminandola alla
luce degli opposti riflettori del bene e del male. Estremi che
finiscono con il coincidere, lasciando fuori la mediocrità borghese
incapace di identificarsi con una delle due morali.
Lontana da me l'idea di
narrarvi la vicenda (la trama), l'intenzione che muove la mia
riflessione è quella di smascherare l'interpretazione borghese del
romanzo e la faciloneria con la quale si analizzano i personaggi.
La pagina di wikipedia
italia di Papà Goriot (romanzo) descrive Vautrin come un
personaggio negativo e dice:
“Vautrin, è il simbolo
negativo della società borghese. Egli infatti è un criminale che
pur di raggiungere i suoi scopi non esita a compiere delitti o a
rubare. [...] Nell'ultima parte del romanzo, la polizia riesce ad
arrestarlo ma ciò non intacca l'alone di mistero e di forza negativa
che caratterizza il personaggio di Vautrin. […]”
Ammesso (perchè è
evidente) che Vautrin rappresenti il male, così come Rastignac il
bene (o il tentativo del bene) risulta altresì evidente che (come
abbiamo già detto) questi due poli finiscono per coincidere ed
entrambi si presentano come modelli positivi mentre proprio dal
confronto con questi due modelli di “positivo” nascono (e vengono
messe in risalto) le vere caratteristiche negative della società
borghese, come il compromesso, l'ipocrisia, la moderazione.
Il “negativo” emerge
prepotentemente in tutti i personaggi ed è caratterizzato da un
rovesciamento dei valori morali: “perchè il denaro è la vita,
col denaro si ottiene tutto.” dice papà Goriot.
Ad esempio, quando la
signorina Michonneau consegna Vautrin alla polizia tutti i presenti
(tranne il solo Poiret) si schierano immediatamente con Vautrin, il
criminale condannato ai lavori forzati ed evaso. Ognuno con delle
motivazione più che meschine; la signora Vauquer, ad esempio, sùbito
dopo l'arresto del forzato dice: “E quel povero signor Vautrin,
che faranno passare per un forzato […] un uomo così allegro, che
prendeva quindici franchi al mese di caffè col rum, e pagava senza
fiatare!” Ed è proprio quest'ultima la sola virtù che abbia
un valore nel mondo borghese, virtù di fronte alla quale ogni vizio,
ogni errore, o bruttezza, cessa di esistere. “Faranno passare
per forzato” dice la signora Vauquer, cioè (in virtù di quei
quindici franchi al mese di caffè col rum) nemmeno ci crede ai
crimini di Vautrin. Questo perchè la borghesia non conosce altra
morale che la propria. Anche la giustizia, dunque, ne risulta
alterata, o meglio si fonda su basi completamente nuove.
Vautrin infatti non è un
personaggio negativo, se analizzato all'interno del sistema di valori
borghesi. E ce lo dice Balzac per bocca di Rastignac quando (compresi
i meccanismi della vita borghese) dice: “Non si commettono che
delitti meschini […] Vautrin è più grande!”.
Infatti Vautrin agisce
liberamente e liberamente abbraccia, nella sua interezza, la morale
borghese (che è appunto mancanza di morale) e dunque, come uomo, si
realizza facendo coincidere il proprio pensiero e le proprie azioni.
Gli altri invece (che compiono “delitti meschini”) non si
realizzano come uomini (ed è questa la loro meschinità) in quanto
le loro azioni non coincidono pienamente con i loro pensieri. Quando
lo fanno, però, la loro meschinità rimane non come mancanza di
morale quanto piuttosto come mancata realizzazione di questo
pensiero. Vale a dire che pensano il male ma non sempre lo fanno.
Balzac, dicevamo
poc'anzi, non è Genet (cosa ovvia), ed infatti dove lo scrittore
ottocentesco si ferma il poeta del novecento va avanti e nel suo
“Diario del Ladro”, parlando di se (di se personaggio), ladro,
traditore e autore di ogni altro delitto, scrive un commento che ben
si potrebbe mettere in bocca a Vautrin, anche in virtù di quanto s'è
appena detto: “Senza dubbio son questo” mi dicevo “ ma
almeno ho coscienza di esserlo, e tanta coscienza distrugge la
vergogna e mi consente un sentimento ch'è poco conosciuto:
l'orgoglio. Voi che mi disprezzate, d'altro non siete fatti che d'un
susseguirsi d'eguali miserie, senonché voi non ne avrete mai la
coscienza, e con essa l'orgoglio, vale a dire la coscienza di una
forza che vi permetta di tener testa alla miseria – non alla vostra
propria miseria, ma a quella di cui è composta l'umanità.”.
Quello che Balzac mette
in mostra come caratteristica della borghesia è in realtà la sua
antitesi filosofica, che di fatto ha soppiantato la tesi storica.
Vale a dire che la vera borghesia, filosoficamente parlando, è
rappresentata da Vautrin che non solo la pensa ma la compie; mentre,
storicamente, la borghesia si è venuta affermando come non-azione,
come mancato adempimento della sua morale (che è assenza di morale).
Infatti il borghese storico non copie l'azione priva di morale così
come la pensa, cioè spudoratamente, ma la trattiene e semmai se la
lascia scappare (bisognerebbe capire quanto involontariamente) e,
soprattutto, la nasconde, o nel migliore dei casi (come diceva Genet)
non ne ha coscienza.
Tutto questo Balzac lo
dice chiaramente nel bellissimo monologo che Vautrin recita a
Rastignac. Già nell'incipit gli dice: “[Lei] è rincasato con
una parola scritta in fronte, una parola che ho saputo decifrare:
Arrivare! Arrivare ad ogni costo. Bravo mi sono detto ecco il tipo
che mi piace.”
Il resto è un perfetto
ritratto della vera morale borghese, quella che abbiamo ritenuto
filosofica, quella incarnata da Vautrin e che, è la mia tesi, non mi
sembra che Balzac condanni appellandola come (filosoficamente)
negativa, o almeno non con quella stessa ferocia con cui, invece,
condanna la “finta” morale borghese, quella della meschinità in
cui si muovono tutti i personaggi di Père Goriot, e che abbiamo
considerato storica.
“Sa come ci si apre
la strada, qui? Con lo splendore dell'ingegno o con la destrezza
della corruzione” ma, avverte Balzac, “la corruzione
esiste in grande abbondanza, mentre il talento è raro; perciò la
corruzione è l'arma della mediocrità preponderante e lei ne sentirà
dovunque l'aculeo.”
L'ultima prova, infine,
dell'evidenza della non negatività del personaggio Vautrin (non per
la sua positività ma perchè si sottrae al giudizio) è Vautrin
stesso a pronunciarla (ovviamente sotto dettatura di Balzac) quando
dice: “L'uomo è imperfetto; può essere talvolta più o meno
ipocrita, e gli sciocchi dicono allora che è o non è morale. Non
accuso i ricchi a favore dei poveri, poiché l'uomo è sempre il
medesimo, in alto, in basso e nel mezzo. In ogni milione di queste
bestie di lusso si trovano dieci furfanti che si mettono al di sopra
di ogni cosa, perfino delle leggi, e io sono uno di questi...”
Dunque, io sono pronto a
credere che quelle “leggi” al di sopra delle quali Balzac pone il
suo Vautrin non siano solo quelle dello Stato bensì anche quelle di
una qualsiasi morale al quale, dunque, non è possibile sottoporre
Vautrin.
Tuttavia sembra prevalere
(qualora la cultura viene distribuita al grande pubblico, di fatto
facendogli perdere la qualità di cultura) una maniera facile di
interpretare non solo i romanzi ma anche le situazioni, una maniera
che porta alla banalità dell'applicazione forzata del sistema
manicheo anche a situazione che non lo prevedono e che di fatto ne
snaturano gli intenti e i risultati.
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