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Rocky Balboa Vs Ivan Drago (breve riflessione sulla Guerra fredda e sull'industria dell'intrattenimento americana)


Questi primi giorni di agosto li sto trascorrendo immerso [sic] nella lettura di Infinite Jest di David Foster Wallace. Inevitabile dunque che tenda, anche nella vita quotidiana, a mantenere quello stesso sguardo critico con cui Wallace descrive quel suo mondo da romanzo tanto simile al nostro mondo quotidiano. Non voglio, però, parlare di Wallace, né di I.J., quanto utilizzare quel suo punto di vista per una breve riflessione su Rocky IV, film con soggetto, sceneggiatura e regia di Sylvester Stallone del 1985. 
Credo che ogni storico che si rispetti non possa non tenere conto anche di questo film, ma in generale di tutta l'industria dell'intrattenimento americana, per spiegare non tanto la guerra fredda quanto i motivi per cui da quel periodo sia uscito vittorioso il modello americano. 
Non ho, lo dico subito, le competenze per analizzare quel periodo ma mi risulta piuttosto evidente che, se la guerra fredda si è conclusa con la vittoria imperialista del modello statunitense, questo non si deve solo alla diplomazia stelle e strisce o all'armamento nucleare (l'aveva anche l'Unione Sovietica) ma anche e soprattutto al canale più subdolo dell'intrattenimento globale. 
Argomento, quest'ultimo, attorno al quale nasce, si sviluppa, si attorciglia, esplode in mille rivoli di genialità, la prosa di Wallace in Infinite Jest. Ma, torno a dire, non voglio parlare di Wallace, né elencare i centinai di paragrafi in cui approfondisce l'argomento. Si potrebbero, allora, citare gli articoli di Pasolini sui "capelloni" o sui jeans "jesus", ma è estate (un agosto caldissimo) e né io ho voglia di esporre e argomentare né voi (mi permetto di dire) di leggere lunghe e deliranti (e, se mi permettete, anche un po' banali) riflessioni su come Rocky Balboa abbia vinto la guerra fredda. Dunque la faccio breve.

Se il mondo, avranno pensato negli Stati Uniti, si diverte con la nostra industria dell'intrattenimento, la nostra industria dell'intrattenimento può alterare la visione del mondo. 
Fu così che la maggioranza delle persone nella maggioranza delle nazioni europee, e non solo, imparò a vedere il mondo con il filtro della visione imperialista statunitense. I sovietici continuarono a parlare a loro stessi, gli americani, invece, parlarono a tutti e a tutti vendettero (tra l'altro facendoci discreti guadagni) l'immagine di un mondo fatto così come loro volevano che fosse o diventasse. Rocky Balboa (l'americano) il buono e Ivan Drago (il sovietico) il cattivo. 
Del resto, uno dei più lunghi pontificati della storia della Chiesa romana è stato dedicato a questo identico scopo comunicativo e, quando nel 1989 venne abbattuto il muro di Berlino, più contento di Regan (che a quanto pare aveva il cervello già logorato dal Parkinson e non se ne rese conto), fu sicuramente Papa Giovanni Paolo II  (ma, il Pasolini degli articoli che abbiamo citato in precedenza li aveva già avvertiti che, almeno per loro, quel modello imperialista americano sarebbe risultato assai più nocivo di quello sovietico: come, infatti, è stato).
"Se io posso cambiare... e voi potete cambiare... tutto il mondo può cambiare!" dice Rocky Balboa (in un delirio patetico collettivo) alla fine del film, solo dopo, però, aver dipindo a colori foschi la russia sovietica (spersonalizzata e priva di libertà individuali), dopo aver sconfitto il pugile sovieto con gli occhi di ghiaccio e il cuore di pietra (spersonalizzato e privo di libertà individuale), e dopo aver alzato al cielo la bandiera stelle e strisce simbolicamente acclamata dal pubblico in delirio di cui, solo dopo avere mutato il proprio atteggiamento nei confronti dell'eroe americano, e solo dopo averlo fatto, si possono finalmente fare primi piani individuali. 

Non viene, dunque, presentato un modello di convivenza pacifica, anche in forma patetica ma comunque spontanea, quanto piuttosto una propagandistica idea di dominazione pacifica, di libertà mediata. Lontanissima, ma non ce ne erano dubbi, dal finale di Il grande dittatore di Chaplin. Due film tanto distanti (che sembra quasi blasfemo metterli a confronto) non solo per la qualità artistica, quanto per un disagio che può essere superato solo facendo un vago riferimento alla semiotica. Ne Il grande dittatore, infatti, il film è il prodotto "artistico" che veicola il messaggio, in Rocky IV avviene l'esatto contrario, il film è il messaggio "pubblicitario" mentre il prodotto è il modello imperialista americano. Una pubblicità, insomma, come buona parte dei prodotti dell'industria dell'intrattenimento statunitense.

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